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Midsommar – Il villaggio dei dannati (2019)

Recensione

Midsommar – Il villaggio dei dannati: manifesto eccentrico del new horror?

Midsommar – Il villaggio dei dannati

Molto si è scritto sul cosiddetto new horror, la nuova ondata di cinema horror più o meno indipendente, spesso molto indie, che a partire dai primi anni Dieci di questo secolo ha rianimato la scena cinematografica di un genere che sembrava destinato a un progressivo esaurimento della propria vena espressiva.

Negli anni Cinquanta e Sessanta ci avevano pensato grandi artisti come Lee e Fischer, Hitchcock e Powell (da entrambi i lati dell’Atlantico), a rimpolpare le paure del pubblico occidentale. Adesso, che abbiamo dovuto riprenderci da un decennio di motoseghe e ostelli, gli eroi del giorno sono dei giovani perlopiù sconosciuti, molto intellettuali, molto caratterizzati ciascuno nel proprio stile, e sempre situati ai confini dell’horror in senso proprio. Il loro new horror (che non è “il” nuovo horror degli anni Dieci tout court, ma ne è una voce centrale) è un’istanza di contaminazione, dove la ricerca storica, l’introspezione psicologica, collaborano a stimolare la paura attraverso lo sgomento, la cacofonia, la serietà più assoluta. La parabola di Ari Aster è emblematica in questo senso.

L’orrore delle relazioni

Midsommar – Il villaggio dei dannati

Volendo cimentarsi in una breve ricognizione delle inadeguatezze di buona parte della critica nei confronti del suo film “Midsommar – Il villaggio dei dannati” (2019), potrebbe capitare di imbattersi in alcuni commentatori che sono arrivati a parlare di Aster come di un “masochista” che avrebbe messo in scena un’immagine di “castrazione” per puro desiderio di auto-punizione maschile. Ci si dovrebbe forse chiedere come sia possibile che nel 2020 esistano ancora testate disposte a pubblicare testi simili. Ma forse anche di più, quello che colpisce è la mancanza di attenzione verso il tema centrale (e radicalmente politico-sociale) del racconto: gli uomini che si muovono intorno a Dani sono perlopiù degli involucri abulici di egoismo, asserviti a bisogni biologici che, come preannunciato da alcune visioni della protagonista, li fanno piuttosto somigliare a piante che a esseri umani.

Il vero orrore, per certi versi, non è quello dei massacri rituali di questa Svezia immaginaria, ma quello di una disponibilità emotiva contrattata a caro prezzo, quello di una persona costretta a sublimare il proprio dolore per una perdita familiare atroce (raccontata con una straordinaria economia narrativa) solo per non gravare su un partner affettivamente indisponibile. Uno sconvolgimento tale, quello che gli ospiti americani iper-professionalizzati portano con sé ad Hårga, da indurre i festosi locali a fare esattamente quanto promesso: ristabilire l’ordine, donare una famiglia a chi ne aveva bisogno, donare il sesso (e niente altro) a chi quello voleva (e niente altro); “fare pulizia”, in senso lato, dei rami morti di un rapporto insalubre, e, così facendo, ridare a Dani il suo sorriso.

Così, l’abisso del villaggio diventa una dimensione mentale, una regressione dei personaggi verso stati profondissimi della loro coscienza. Si è parlato di un eccesso di virtuosismo, di una mancata caratterizzazione della psicologia dei personaggi. Ci sembra che la “critica ufficiale” abbia anche in questo caso mancato il punto: la Svezia di Aster “è” la mente di Dani, e i personaggi squallidi che ci si muovono all’interno sono come virus che i violenti, bianchissimi globuli del luogo si affrettano a bruciare

L’arte di Ari Aster

Midsommar – Il villaggio dei dannati

Sembra, per certi versi, che Kubrick sia tornato in vita e abbia scoperto che esistono i cellulari. Quello della coppia Aster/Pogorzelski (alla fotografia) per “Midsommar – Il villaggio dei dannati” è stato un lavoro orientato verso la massima pulizia stilistica. Le campiture sono nette, i colori intensi, tutti messi a sistema in una tavolozza con significati specifici: il viola, il blu, sono riservati ai fiori pulsanti, alle droghe, mentre il rosso è a tratti quello delle vernici a tratti quello del sangue dei morti di Hårga. Il resto è di un bianco abbagliante, tinto talora di giallo o verde (il verde delle valli svedesi, qui in realtà fotografate in Ungheria). Per la realizzazione dell’opera, Aster si è avvalso della collaborazione straordinaria di Mu Pan, artista di base a New York noto per le sue convergenze tra la tradizione rinascimentale fiamminga e olandese (Bosch, Brueghel, etc.) e quella delle miniature indo-tibetane.

Uno stile, quello di Mu Pan, che nel suo “dettagliato minimalismo” richiama da vicino il singolare uso di luci e m.d.p. che caratterizza entrambe le opere del regista americano.

Anche i costumi, affidati a Andrea Flesch, rimandano a un’idea di falsa semplicità, una geometria stonata, che eccede sempre, e in modi diversi, la perfezione compositiva dell’impianto generale. La lezione di Cronenberg è effettivamente filtrata attraverso la lente zulawskiana di una forma che non converge mai in maniera armonica: il fiore che respira nella corona, la capanna sbilanciata, ogni singola immagine torna a destra o a sinistra della scena, e la geometria del quadro lascia spazio alle numerose asimmetrie derivate dalle fratture aperte tra Dani e Christian, tra Dani e il mondo, ricomposte alla fine dal rogo rituale.

Numerosi anche gli echi dell’arte “locale”, dalle miniature di John Bauer agli studi di Hilma af Klint, che nel pubblico svedese devono avere evocato immagini ambigue di erotismo e rinascita, a partire dal quadro premonitore dell’orso che appare sul divano della protagonista.

Ma l’abilità di Aster consiste nel trasformare un discorso potenzialmente astratto in una compiuta denuncia sociale, pienamente inserita nel dibattito contemporaneo. D’altronde, se a Dani Ardor è letteralmente “negata la passione” (denied ardor) da un sistema di valori passato e trapassato, i.e. Christian, la tavola dove si svolge il gioco di seduzione più o meno sincero tra le parti del villaggio è sorprendentemente simile alla tavolata di Judy Chicago in “The Dinner Party”, del 1979, con tutti i significati di riscatto che a questa si accompagnano.

Una collana e il suo diamante

“Midsommar – Il villaggio dei dannati” è il manifesto straordinario e improbabile di un certo modo di fare horror, dove la violenza esteriore è allegoria di quella interiore, la paura ne è il sintomo, e il rituale, miracolosamente, può simboleggiare una cura. Questo new horror è un viaggio, una traversata, e la prospettiva folklorica permette, come ci insegna (tra gli altri) il cinema australiano (qui le nostre recensioni dedicate alla Mistica Oz: “Picnic at Hanging Rock” e “Lake Mungo”), di recedere a uno stato primordiale di coscienza.

Il tema del culto, della tribù, della spiritualità pagana, che raccoglie stimoli da splatter cannibalico à la Lenzi/Deodato/Climati e da raffinata inquietudine campagnola in stile “La pelle di Satana” (Piers Haggard, 1970) / “The Wicker Man” (Robin Hardy, 1973), ha riscosso un notevole successo nel panorama di questi ultimi anni – e si pensi ad alcuni straordinari capolavori come “Bone Tomahawk” (S. Craig Zahler, 2015), o “The Endless” (Benson & Moorhead, 2017). Ma “Midsommar – Il villaggio dei dannati”, nella sua straordinaria composizione, resta per certi versi un faro, uno dei prodotti più significativi di questi tempi. Ed è per questo che consigliamo a tutti di scoprirlo.

Lorenzo Maselli

Trama

  • Titolo originale: Midsommar
  • Regia: Ari Aster
  • Cast: Florence Pugh, Will Poulter, William Jackson Harper, Jack Reynor, Julia Ragnarsson, Björn Andrésen, Anna Åström, Henrik Norlén, Liv Mjönes, Louise Peterhoff
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 140 minuti
  • Produzione: USA, 2019
  • Distribuzione: Eagle Pictures
  • Data di uscita: 25 luglio 2019

Midsommar – Il villaggio dei dannati poster ita“Midsommar – Il villaggio dei dannati” è il secondo film di Ari Aster ed è distribuito a un anno esatto di distanza dall’esordio del regista con “Hereditary – Le radici del male“. Il premio Oscar Jordan Peele, autore di “Scappa – Get Out” e “Noi“, lo ha definito un film unico, destinato a diventare termine di paragone per tutti gli horror successivi.

Un mondo di luce che nasconde le tenebre

La studentessa Dani (Florence Pugh) è in una relazione di forte dipendenza con l’abulico Christian (Jack Reynor), che vorrebbe lasciarla ma non riesce a trovare la risoluzione necessaria per farlo. La ragazza subisce un forte trauma quando la sorella bipolare uccide se stessa e i loro genitori in un momento di crisi. Christian, contro il parere dei propri amici e sperando quasi che Dani rifiuti, finisce per invitarla in un “boys’ trip” organizzato per quell’estate in Svezia, per visitare un antico villaggio dove dovrebbero essere ancora in uso particolari tradizioni per i festeggiamenti di mezza estate. Quando l’eterogenea compagnia arriva finalmente sul luogo, una strana sensazione di agorafobia comincia ad insinuarsi in ciascuno dei compagni, lasciando presto spazio a uno sgomento ben più profondo.

Il cast di “Midsommar – Il villaggio dei dannati”

Nel cast è presente Florence Pugh, già interprete di “The Falling”, “Lady Macbeth“, “L’uomo sul treno – The Commuter” e attualmente impegnata sul set del cinecomic Marvel “Black Widow”, Jack Reynor nel ruolo del suo fidanzato Christian, Will Poulter, il quale ha preso parte a celebri pellicole come “”Maze Runner – Il labirinto“, “Le cronache di Narnia”, il film premiato agli Oscar “Revenant – Redivivo” e nel recente “Black Mirror: Bandersnatch”.
Infine sono presenti William Jackson Harper, che ha recitato in varie serie tv tra cui “Law & Order” e “The Good Place”, e l’attrice svedese Julia Ragnarsson.

Trailer

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