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Manta Ray (2018)

Recensione

Manta Ray – Recensione:  il regista thailandese Phuttiphong Aroonpheng vince la sezione Orizzonti a Venezia 2018 con un film politico in chiave onirica

Manta Ray - img filmUn pescatore (Wanlop Rungkamjad) trova tra le mangrovie un uomo in fin di vita. Lo soccorre e lo porta a casa sua. Il rapporto tra i due diventa sempre più stretto. Lo sconosciuto è muto e prende il nome di Thongchai, come una star locale della musica. Le vite dei due uomini si confonderanno sullo sfondo di una tragedia politica in atto da anni. Sono infatti, almeno 900.000 i Rohingya rifugiati attualmente in campi profughi in Bangladesh, dove vivono in condizione disumane.

Manta Ray: una pellicola che porta sul grande schermo il dramma di una delle etnie più perseguitate al mondo con estrema raffinatezza

Gioca sulla dualità tra il reale e il fantastico l’opera prima del cineasta Phuttiphong Aroonpheng dal titolo “Manta Ray”. La narrazione parte lenta con ben nove minuti senza alcun dialogo in una giungla buia, illuminata unicamente da un uomo armato e vestito di luci fluorescenti. Il pescatore protagonista non avrà un nome per tutto il corso della narrazione, al contrario del suo ospite muto che sarà battezzato Thongchai, sull’onda di una famosa rockstar thai.

I due uomini si scambiano letteralmente la pelle, comunicando solo grazie ad un gioco di sguardi. Il pescatore insegna al suo amico come trovare in una foresta delle pietre luccicanti, mentre gli racconta della moglie scappata con un altro. Lei tornerà esattamente nello stesso momento in cui il marito sparirà misteriosamente per poi tornare sui suoi passi.

In un gioco quasi di magia le vite dei personaggi si sovrappongono e si è trasportati in un universo onirico. La figura femminile diventa l’elemento che unisce e separa al contempo i due protagonisti. Sogno e realtà si mischiano in una sorta di caleidoscopico di luci che illuminano il buio tra inspiegabili sparizioni e cambi di identità.

Si parla di identità e più precisamente di quella negata del popolo Rohingya, che trova rifugio spesso presso il fiume Moei, al confine tra Tailandia e Myanmar, ma utilizzando un linguaggio assolutamente non convenzionale.

Manta Ray: un’opera complessa che ipnotizza e pesca nella cultura animista del popolo thai

Manta Ray - iL FILMNon è un film semplice quello di Aroonpheng ma, pur nella sua complessità, riesce ad arrivare allo spettatore che si perde piacevolmente nei meandri dell’universo visivo creato dal regista che, alla sua opera prima, porta con sé tutto il suo bagaglio di ex direttore della fotografia.

“Manta Ray”, infatti, è prima di tutto una gioia per gli occhi con un uso sapiente di metafore che pescano nella cultura del paese in cui la storia è ambientata, per porre in evidenza l’elemento politico. Il nocciolo dell’opera è quello dell’identità dell’essere umano in generale e più nello specifico in quella disconosciuta della etnia rohingya di cui fa parte l’uomo salvato tra le mangrovie. I tanti morti Rohingya sepolti nelle foreste della Thailandia meridionale diventano nel suo film piccole lucine che volano nella giungla buia, il cui silenzio è rotto solo da voci e lamenti piene di angoscia.

La pellicola tratta il tema politico con la stessa chiave di lettura di “ La forma dell’acqua” di Guillermo del Toro.

L’autore mischia abilmente le carte in tavola, ammantando di poesia una realtà spaventosa e molto conosciuta nella terra dei sorrisi e nella vicina Birmania come quella delle persecuzioni ai danni dei rohingya. Ed è proprio questa la forza di questo lavoro, che ha meritato il prestigioso premio della sezione Orizzonti, un ottimo debutto nel mercato internazionale dell’audiovisivo.

Tutto si gioca sull’inconscio dello spettatore, sollecitato da immagini preziose e intriganti per veicolare il suo messaggio. La potenza di questo piccolo film è tutta in questo universo visivo che porta la firma del direttore della fotografia Nawarophaat Rungphiboonsophit e del contributo musicale del duo di musicisti Snowdrops, composto da Christine Ott e Mathieu Gabry.

Ottimo il cast, che vede in primo piano Wanlop Rungkumjad, attore noto nel cinema indie del suo paese, nei panni del pescatore e la cantante Rasmee Wairana in quelli della moglie in fuga. Chiude il cerchio il Dj Aphisit Hama (Thongchai), al suo primo ruolo nel cinema. “Mantha Ray” è distribuito in Italia da Mariposa Cinematografica e si avvale del patrocinio di Amnesty International.

Ivana Faranda

Trama

  • Titolo originale: Kraben Rahu
  • Regia: Phuttiphong Aroonpheng
  • Cast: Wanlop Rungkumjad, Rasmee Wayrana, Abhisit Hama
  • Genere: drammatico, colore
  • Durata: 105 minuti
  • Produzione: Tailandia, Francia, Cina, 2018
  • Distribuzione: Mariposa Cinematografica
  • Data di uscita: 10 ottobre 2019

Manta Ray poster def“Mata Ray” è un film di genere drammatico diretto dal regista Phuttiphong Aroonpheng. Il lungometraggio è stato premiato alla 75esima edizione del Festival del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti.

Manta Ray: una storia ambigua

In una foresta vicino a un villaggio costiero thailandese, affacciato sul mare in cui sono annegati migliaia di rifugiati Rohingya, un pescatore del luogo si imbatte in un uomo ferito e privo di sensi. Dopo aver portato in salvo lo sconosciuto, che non parla una parola della sua lingua, gli offre amicizia e lo chiama Thongchai. Quando però il pescatore scompare all’improvviso in mare, Thongchai incomincia lentamente a impadronirsi della vita del suo salvatore: della sua casa, del suo lavoro e persino della ex moglie…

Manta Ray: un film di denuncia sul dramma dei Rohingya

Il regista alla sua opera prima tratta in chiave estremamente originale un tema forte come quello dei rifugiati. La narrazione corre su un doppio binario. I corpi sepolti dei Rohingya diventano mille luci che galleggiano nell’aria e snella giungla buia. Il messaggio che arriva da quest’opera, seppur solo sussurrato arriva diritto al cuore dello spettatore. Un film poetico e di grande impatto visivo.

Trailer

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