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Leave No Traces (2021)

Recensione

Leave no Traces: un film politico tratto da una storia vera

Leave no Traces film

È tratto da un romanzo e da una storia vera “Leave no Traces” di Jan P. Matuszynski, in concorso al Festival di Venezia 2021 e incentrato sulla morte assurda, dopo un pestaggio della milizia, del figlio adolescente della poetessa e nemica del regime Barbara Sadowska. Ne è testimone solo il giovane Jurek, che diventerà il nemico pubblico del paese. Per intimidirlo la polizia e l’apparato di governo farà di tutto.

Siamo nel 1983 e la libertà di pensiero è difesa da Solidarność, anche se con qualche difficoltà. E ci sono tutte, raccontate nei dettagli più piccoli nella pellicola che ricostruisce le subdole manovre fatte su amici, parenti e persone coinvolte nella vicenda. Ovviamente gran parte della scena è per il giovane e coraggioso Jurek, legato a doppio filo alla madre dell’amico, donna carismatica della sua epoca.

La regia ricostruisce il teatrino orchestrato da un manipolo di potenti uno più grottesco e crudele e dell’altro. Quelli coraggiosi, che vorrebbero ristabilire la verità, vengono arrestati, vedi l’avvocato del giovane. Un procuratore integro, che lotta contro tutti, viene esautorato del suo ruolo e sostituito da una donna grottesca che finisce per rappresentare in tutto la “Giustizia” in Polonia. Il suo interrogatorio al processo all’unico testimone è una brutta commedia scritta male, che serve solo a far trionfare il potere.

Leave no Traces: un film rigoroso ma poco coinvolgente

Leave No Traces protagonista

La regia di Jan P. Matuszynski è senz’altro asciutta e priva di orpelli e questo è un pregio visto il tema. Tuttavia, ci si finisce per perdere tra i vari personaggi ostili alla verità. Il clima di oppressione di quei giorni è tangibile e questo ci sta tutto. Nel plot, entrano anche i diversi rapporti tra i vari personaggi, vedi quello tra il ragazzo e la poetessa uniti da una relazione sentimentale clandestina. Sono essenziali, inoltre, anche le figure dei genitori di Jurek conformisti e paurosi che finiranno per denunciare e manipolare il loro stesso figlio. Lui, il testimone, diventa il vero eroe, che dovrà capire a sue spese in che paese vive. Tutti, compresa la poetessa e madre della vittima, soccombono dopo aver lottato strenuamente. Fanno le spese di questo gioco al massacro anche due poveri infermieri colpevoli solo di aver preso nella loro ambulanza il ragazzo ucciso dalla milizia dopo due giorni di agonia. Non c’è salvezza per nessuno in questo film molto ben fatto ma che andrebbe alleggerito nella narrazione per renderlo più simile ad un legal movie sullo stile di “Il processo ai Chicago 7”. Ma evidentemente, la matrice polacca del lavoro prende il sopravvento anche se bisogna riconoscere gli sforzo fatti dalla regia. Nonostante tutto, non si riesce a creare empatia nello spettatore. In ogni caso, anche solo la scena del processo riscatta un lavoro che ci ricorda come il potere possa essere brutale in ogni epoca e regime.

Ivana Faranda

Trama

  • Titolo originale: Zeby nie bylo sladów
  • Regia: Jan P. Matuszynski
  • Cast: Tomasz Kot, Agnieszka Grochowska, Robert Wieckiewicz, Tomasz Zietek, Aleksandra Konieczna, Jacek Braciak, Sandra Korzeniak, Adam Bobik, Jacek Grygorowicz, Sebastian Pawlak
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 160 minuti
  • Produzione: Polonia, Francia, Repubblica Ceca, 2021

Leave No Traces scheda“Leave No Traces” è un film in Concorso alla 78ª Mostra del Cinema, tratto dal romanzo “Żeby nie było śladów” di Cezary Łazarewicz, ispirato a una storia vera che ricorda molto quella di Stefano Cucchi ucciso dopo un arresto per possesso di stupefacenti.

Leave No Traces: la trama

In Polonia nel 1983 il giovane Grzegorz Przemyk, figlio della poetessa Barbara Sadowska viene ucciso dalla milizia, dopo essere stato arrestato e portato in prigione, per essersi rifiutato di mostrare i documenti. Lo stato di legge marziale è sospeso ma non ufficialmente abrogato. Jurek è l’unico testimone del pestaggio e per farlo tacere l’intero apparato del regime formato da servizi segreti, milizia, media e tribunali cercherà di annientare lui e la famiglia della vittima.

Commento del regista

“I film sono uno strano tipo di specchio. Possono penetrare nelle pieghe più profonde dell’anima di una persona. Sia del protagonista sia dello spettatore. Ognuno può vedere un’immagine diversa riflessa in uno specchio, ed è in questa precipua caratteristica che risiede la bellezza del cinema. Questa è la libertà di cui abbiamo bisogno. Grzegorz Przemyk amava la propria libertà quando la polizia gli chiese di esibire la sua carta d’identità il 12 maggio 1983. Sapendo di non essere tenuto a mostrarla in quanto allora la legge marziale era stata abolita, non lo fece. Nessuno sa chi abbia inferto l’ultimo colpo fatale. Ha un non so che di kafkiano e ricorda altri casi contemporanei. La presenza di un testimone oculare è l’unica ragione per cui questa storia è venuta a galla. Il film mi ha dato l’opportunità di passare in rassegna le molteplici prospettive del regime comunista della Polonia degli anni Ottanta. Uno specchio a più strati che bisogna cercare di non infrangere. Solo con il supporto del ricordo, possiamo sperare che questo non accada nuovamente”.

Il regista Jan P. Matuszynski, che ha studiato con Kieslowski e Waida, ha già al suo attivo il documentario “Deep Love” del 2013 e il film “The Last Family” del 2016 sulla stravagante famiglia di artisti formata dal pittore Zdzislaw Beksinki, sua moglie Sofia e il figlio Tomasz critico musicale e traduttore.

 

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