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La casa di Jack (2018)

Recensione

La casa di Jack – Recensione: l’universo distopico di Lars

La casa di Jack still

La guerra alla dittatura della ragione, oltre ogni preoccupazione morale, una razionalità che aiuta a vivere più a lungo, ma senza ambire a uno scopo più grande: un’esistenza che osa varcare la soglia del visibile inseguendo un processo creativo. Questi erano i fondamenti del surrealismo, movimento artistico fondato da Andrè Breton, che, come il romanticismo, dava sfogo alle pulsioni dell’inconscio, ma andava oltre usando come ponte comunicativo il concetto di straniamento. Queste elaborazioni, secondo cui si uccide l’arte imponendo regole morali della vita che vanno assolutamente liberate, determinano il fil rouge del film di Lars Von Trier, unico e vero surrealista di questa epoca moderna.
“La casa di Jack” raffigura simbolicamente la disperazione umana. Un film monumentale, ma al contempo intimo, una dicotomia amata dal regista danese, che si “sdoppia” nel serial killer Jack, interpretato da uno straordinario Matt Dillon e nel suo alter ego, o meglio nella sua voce della coscienza, Verge, a cui presta volto e voce il compianto Bruno Ganz.

Strutturato in 5 “incidenti” (o meglio capitoli) e una catabasi, termine che dai Greci a Dante ha sempre indicato la discesa agli inferi, ma che qui è un vero e proprio viaggio alla ricerca dell’animo umano, “La casa di Jack” è lastricata, o meglio composta di cadaveri (in un’immagine evocativa che ricorda le opere di Jack Yerk) e il materiale tanto cercato per costruirla risiede, appunto, nelle stesse vittime dalle quali cerca, senza trovarla, empatia e coscienza, doti di cui Jack è totalmente privo.

Il volto di Verge, o meglio Virgilio, non a caso è quello di Bruno Ganz, l’angelo di Wenders in “Il cielo sopra Berlino” e soprattutto Hitler ne “La caduta”. Hitler e il nazismo, l’olocausto, Albert Speer e la sua estetica delle rovine, sono icone, fotogrammi appositamente scelti, voluti, senza alcuna scusa dopo le dichiarazioni di Cannes 2011, che nella pellicola estremizzano il concetto secondo cui il degrado nobilita e trascende fino a diventare più della stessa arte, un vero capolavoro.

La casa di Jack review

La preparazione e l’esecuzione degli omicidi che commette Jack sono intervallati da dissertazioni “voice over” che rappresentano un impianto platonico che vede confrontarsi due visioni opposte: i principi di Verge, secondo i canoni classici, l’umanità e la dignità di Goethe, la misura, l’equilibrio e l’armonia e quelli di Jack, determinati dalle avanguardie storiche e dal gesto liberatorio e dissacratorio dell’arte, che apre la pellicola con una lunga dissolvenza che compone una sovrapposizione tra il volto della prima vittima ed un quadro cubista di Juan Gris.

Un omicidio dunque concepito come un’opera d’arte, che ha qualunque forma ed è molte cose, da Glenn Gould che suona Bach, alla vinificazione, fino agli archi rampanti di una cattedrale gotica, espressioni di un ingegnere fallito che ha sempre sognato di essere un architetto. Ma qui gli archi cedono il passo a una grigia ed anonima cella frigorifera, la tigre lascia il posto all’agnello, in una citazione dell’opera di William Blake, e brutali ed efferati delitti, in cui durante l’atto predomina il realismo accentuato da luci naturali e primi piani intensi, diventano, in una fase successiva, vere e proprie performance artistiche e seguendo il leit motive dell’ironia, un vero humor noir, si trasformano in tableaux vivants dall’innaturale staticità, che ricordano le opere di Hermann Nitsch.

La casa di Jack: le urla disperate del nostro inferno

La casa di Jack una scena

Gli omicidi di Jack sono violenti, depravati, totali, eppure nel silenzio che emerge dall’indifferenza della società intera si rivelano ancora più letali. In una scena del film il killer chiede espressamente a una sua vittima di urlare per chiedere aiuto, urlare più volte e con vivida disperazione, per poi affermare “in questo inferno di mondo nessuno vuole darti una mano” in una lettura sartriana dell’esistenza, impregnata di nichilismo, tesa a sottolineare la malvagità dell’uomo in tutte le sue espressioni, manifeste e non, il positivo e il negativo, come quello fotografico usato da Jack, visto come il lato migliore in cui si manifestava “la qualità demoniaca insita nella luce”.

Dove in “Nymphomaniac” , sua opera del 2013, c’era Eros, qui assistiamo a Thanatos, due espressioni dello stesso sentire, come dice in una battuta Jack ” la caccia dopotutto è la metafora dell’amore”.

La luce naturale nel lungometraggio cede, mano a mano, il passo a un’illuminazione espressionista, in cui divampano i cromatismi del rosso e del nero ed i viraggi dorati e caldi delle luci al sodio, viste precedentemente nel suo film “L’elemento del crimine”.

Un montaggio fuori dagli schemi, strutturato a blocchi, con quadri frontali e linee pulite dallo scarno minimalismo.

Un’esperienza unica nel suo genere, un cinema che non chiede ragioni, non vuole consensi, ma si prende la libertà di esporre la propria visione di realtà, dove il singolo individuo chiede solo di sopravvivere in un mondo dove il modo migliore di nascondersi è non nascondersi affatto, in quanto nessuno si accorge di nulla e urlare non porta a nulla, forse perchè dolori, morti e grida di anime innocenti sono all’ordine del giorno.

“Tutti gli uomini gridano: c’è un gran lavoro distruttivo, negativo da compiere: spazzare, pulire. Senza scopo nè progetto alcuno, senza organizzazione, la follia indomabile, le decomposizioni” Tristan Tzara

Chiaretta Migliani Cavina

Trama

  • Titolo originale: The House That Jack Built
  • Regia: Lars von Trier
  • Cast: Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan, Sofie Gråbøl, Riley Keough, Ed Speleers, David Bailie, Ji-tae Yu, Osy Ikhile
  • Genere: Thriller, colore
  • Durata: 155 minuti
  • Produzione: Danimarca, Francia, Germania, Svezia, 2018
  • Distribuzione: Videa
  • Data di uscita: 28 febbraio 2019

La casa di Jack poster “La casa di Jack” è un film drammatico diretto e creato da Lars Von Trier con Matt Dillon, Bruno Ganz e Uma Thurman.

Con questa pellicola, definita da Lars “Il film più brutale che abbia mai fatto“, il regista torna al Festival di Cannes, dopo essere stato apostrofato come persona non gradita a seguito delle sue dichiarazioni su Hitler e il nazismo.

La casa di Jack: genio e follia di una vita malvagia e senza anima

Ambientato nell’America degli anni ’70, “La casa di Jack” rielabora le macabre imprese di Jack lo Squartatore, partendo da un ingegnere psicopatico, Jack, con tendenze ossessivo-compulsive, unite a una grande propensione artistica che trova la sua espressione negli omicidi commessi in un lungo periodo di tempo.

Il protagonista, interpretato da Matt Dillon, confessa i crimini compiuti per 12 anni nello stato di Washington a uno sconosciuto di nome Verge (Bruno Ganz) diminutivo di Virgilio, elemento di confine tra l’ultimo barlume di umanità e gli inferi.

Il regista porta alla luce la malvagità di una società ormai cieca e sorda a ogni richiesta di aiuto, neanche se le grida dovessero provenire dal pianerottolo di fronte, una vera ipocrisia di valori che nasce dallo smarrimento dell’anima in ogni essere umano.

Il protagonista è posseduto dal solo pensiero estetico che vede nella putrefazione dei corpi il processo degenerativo che scatena l’espressione di un gesto visto come rivoluzionario, una vera performance artistica, non un semplice omicidio e gioca così una partita a scacchi con la polizia fatta di un susseguirsi di eventi fino al capolavoro finale.

La casa di jack: un girone infernale dantesco

Matt Dillon è un ingegnere con il talento di un architetto “un ingegnere legge la musica, un architetto la suona” confida in una battuta del film. Una pellicola monumentale dove l’impronta autoriale intimista sovrasta ogni composizione, determina ogni sequenza.

Lars Von Trier si sdoppia, ingegnere ed architetto della vita, nelle due figure di Jack e Verge e come in tutti i suoi capolavori, qui maggiormente che in altri, ci spinge ad esplorare le profondità oscure dell’animo umano, un buio che si impossessa della razionalità e spinge l’umanità a commettere i crimini più atroci.

La pellicola è distribuita nelle sale italiane da Videa.

Trailer

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