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Insider – Recensione: gli uomini isolati di Michael Mann

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Nel cinema di Michael Mann, anteriore e successivo a “Insider”, ricorrono di continuo due figure: quella del doppio – coniugata nelle forme ambigue dell’amicizia virile (anche solo accennata e possibile) – e quella dell’individuo isolato, che si pone al di fuori del circuito delle immagini che la necessità sociale continuamente impone. Tale circuito di rappresentazioni è onnipresente e furioso e, ovviamente, non può che sforare nella menzogna compiaciuta.

Gli uomini isolati di Mann cercano un’impossibile possibilità “fuori dai giochi”, ben sapendo che è un fuori illusorio e tutt’altro che conciliatorio, l’inganno permane e si moltiplica nel suo virtuosismo iconografico. La moralità sta dunque tutta nella scelta, nella precarietà che essa comporta a vari livelli (esistenziale per i personaggi, etica per lo spettatore, iconografica per il regista), in una realtà non trasparente, bensì opaca.

La ricerca della verità e la prigionia mediatica in “Insider”

Mann, regista ben integrato nella patinata forma hollywoodiana, cerca ciò che non è visibile, e proprio per questo diviene perturbante e elegante in quel che mostra. Non a caso la prima immagine è una tela bianca, un fazzoletto che copre la vista di Andrew Bergman (Al Pacino), condotto a un’intervista con un leader religioso musulmano. Bergman, giornalista e demiurgo registico al tempo stesso, vuole vedere, ma è impossibilitato, cerca di sfruttare le regole del gioco mediatico televisivo, insistendo sulle immagini, ma ne è imprigionato e non se ne rende del tutto conto.

Allo stesso modo è imprigionato il personaggio interpretato da Russell Crowe, che abbandona una delle grandi compagnie di tabacco americane in cui lavora, dopo aver scoperto che nelle sigarette viene inserita una sostanza che suscita dipendenza per aumentare la domanda. Crowe è da subito fuori dalla realtà sociale, Pacino non ancora.

Il primo diventa un attore per riacquistare la visibilità e l’immagine di sé, ma perde costantemente tutti i riferimenti, casa, lavoro, matrimonio. Bergman, invece, perde lentamente il suo programma, il suo ruolo decade da demiurgo a gestore di una rappresentazione per conto terzi.

I due devono rispecchiarsi nella reciproca solitudine e nel rispettivo scacco, anche se lo show andrà in onda. Pacino finisce con l’uscire da quel circuito, che tuttavia continua a riprodursi.

Insider: una splendida regia per un cinema morale e nobile

Una sequenza degna di nota: Crowe rinchiuso in un albergo, isolato e al limite del crollo nervoso. Dietro di lui un paesaggio seicentesco, come scenario un idillio campestre. In una disperata allucinazione il trompe l’oeil si dissolve e appare un giardino con le due figlie dell’ex dirigente, un fantasma intangibile e quanto più desiderato.

Simultaneamente Pacino, immerso in una lussureggiante zona del sud degli Stati Uniti, con l’acqua dell’Oceano fino alle ginocchia, cerca di contattarlo telefonicamente. Entrambi nella natura, entrambi inabissati nella contingenza delle immagini.

Raramente il rischio di annegare nella società dello spettacolo è stato espresso meglio. In queste inquadrature perfette, la macchina a mano di Mann e i suoi scavalcamenti di quadro in sede di montaggio, smontano il meccanismo e tentano di penetrarvi. Un esempio di cinema morale e nobile.

Trama

  • Titolo originale: The Insider
  • Regia: Michael Mann
  • Cast: Al Pacino, Diane Venora, Russell Crowe, Lindsay Crouse, Christopher Plummer, Gina Gershon, Stephen Tobolowsky, Michael Gambon, Philip Baker Hall, Debi Mazar, Colm Feore, Bruce McGill, Rip Torn, Lynne Thigpen, Hallie Kate Eisenberg, Cliff Curtis, Breckin Meyer
  • Genere: Avventura, colore
  • Durata: 127 minuti
  • Produzione: USA, 1999

insiderIspirato a una storia realmente accaduta. Jeffrey Wigand, capo ricercatore della Brown & Williamson, è il testimone chiave di una causa intentata dal Mississippi e da altri 49 stati americani contro le multinazionali del tabacco.

Grazie al giornalista Lowell Bergman, interessato al grande scoop, l’uomo rilascia un’intervista sconvolgente per il programma televisivo “60 Minutes”, in cui denuncia l’utilizzo di additivi nelle sigarette per aumentare la dipendenza dal tabacco.

Trailer

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