Eco Del Cinema

Il settimo sigillo (1957)

Trama

  • Titolo originale: Det Sjunde Inseglet
  • Regia: Ingmar Bergman
  • Cast: Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Gunnel Lindblom, Bengt Ekerot, Bibi Andersson
  • Genere: Drammatico, b/n
  • Durata: 95 minuti
  • Produzione: Svezia, 1957
  • Distribuzione: Cineteca di Bologna
  • Data di uscita: 5 novembre 2018

 

il settimo sigillo copertinaPremio speciale della Giuria a Cannes ’57, “Il settimo sigillo” è pellicola fondante della settima arte, radice da cui il cinema del dopoguerra tutto si è in qualche modo generato. Raccontare la vita e la morte, la ricerca di Dio, della contemporaneità, cogliere la linfa dell’uomo è prerogativa di pochi; Ingmar Bergman lo fa in maniera solenne e tragica, impreziosendo la pellicola con squarci metafisici e tagli netti, cesellando quella fotografia che sarà alla base di molti snodi cinematografici da lì in avanti. Il malessere della modernità è strutturale, esistenziale: si è gettati al mondo, si è, senza risposte.

Il settimo sigillo: la danse macabre dell’umanità

 

Nubi nere e lampi di luce accompagnano quello che è la matrice di senso dell’opera: il settimo sigillo, evocato nei primi minuti, si riallaccia alle pagine dell’Apocalisse. Davanti gli occhi, un mondo dilaniato da guerre e persecuzioni – si sfalda lentamente, lasciando la Morte avanzare. Eppure per il laico Bergman non è un Dio che punisce, che lancia carestie e semina terrore, quanto un uomo che ha cercato la catastrofe da solo, l’ha creata su misura con le proprie mani. In un mondo immoto, un Medioevo nordico su cui grava un peso imminente, il cielo non offre via di fuga, piuttosto opprime; le trombe dell’imminente fine dei tempi riecheggiano in lontananza.

Il cavaliere Antonius Block, da poco tornato in patria da una crociata, gioca a partita a scacchi con la Morte. Il mare scroscia su una Danimarca vessata da pestilenze e dolori; i due stringono un patto: fin quando la partita andrà avanti, il Mietitore non agirà su di lui.

“Il settimo sigillo” è un affastellarsi di icone e immagini, a cui Bergman attinge a piene mani. Il mondo pittorico-scultoreo accorre sullo schermo, mezzo con cui si cerca di cogliere l’ignoto e l’impossibile; si susseguono personalità differenti, metafore in carne e ossa – o semplici involucri cavi: la tragedia dell’esistenza è di tutti e per tutti.

Ciò che più frastorna è il silenzio di un Dio che dovrebbe essere mano ferma e scudo, porto sicuro. Così sulla terra si susseguono ricerche inconcludenti e urobori di senso: lo smarrimento collettivo la fa da padrone, l’assurdità dell’esistenza diventa fulcro ossessivo, baricentro della riflessione comune. Nell’umanità circondata dalle tenebre, si leverà solo un tenue bagliore, filo sottilissimo che potrebbe condurre alla salvezza: lo emanano due attori, teneramente innamorati, simboli di un’innocenza ancora non inficiata da irrequietezza e inaridimento.

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