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Figlia mia (2017)

Recensione

Figlia mia – Recensione: due madri in lotta nella Sardegna rurale

Figlia mia Valeria Golino

 

“Figlia mia” è la storia di due donne in lotta tra loro per affermarsi come unica madre della povera Vittoria (Sara Casu). Tina, interpretata da Valeria Golino, è una donna religiosa, composta, dedita al lavoro e alla famiglia. La figlia Vittoria viene cresciuta sotto stretta attenzione da parte della madre, come se fosse una bambola di porcellana pronta a rompersi ad ogni occasione. Alba Rohrwacher impersona l’alcolizzata e disadattata Angelica, madre naturale della bambina, la quale viene data in adozione subito dopo il parto a Tina, che non può avere figli.

La piccola Vittoria è all’oscuro di tutto ciò, e soprattutto non è a conoscenza del patto instaurato tra le due donne. Secondo il patto, Angelica dovrebbe restare fuori dalla vita di Vittoria a condizione che Tina si occupi di lei in qualità di “badante”.

Lo status quo rimane tale finché la bambina non si avvicina piano piano ad Angelica, incuriosita dalla sua stravaganza e dal suo essere totalmente fuori posto.

Il paesaggio come personaggio

La storia è ambientata in una Sardegna rurale ben lontana dagli yacht della Costa Smeralda. Il paese in cui si muovono i personaggi si presenta come degradato, povero e scarsamente abitato. La rappresentazione è quella di un sud arretrato, marginale, agli estremi, lontano dalla cultura urbana, ancora legato a vecchie tradizioni e soprattutto pre-moderno. Un luogo ancestrale in cui il rapporto tra essere umano e natura è ancora forte.

Tale luogo, quasi al di fuori del mondo contemporaneo si presenta come l’ideale in cui ambientare una storia di maternità. Laura Bispuri cerca di raccontare quel sentimento ancestrale, che è la maternità, in un luogo in cui la natura la fa ancora da padrone e il progresso dell’uomo arriva sporadico.

La fotografia di Vladan Radovic è perfetta, rispecchia le luci di una terra, quella del sud, della Sardegna assolata ma allo stesso tempo impervia e rude. Aiutato da un sonoro impeccabile, il rumore del vento, degli animali e della natura sono talmente reali e vicini da trasportarci dentro il paesaggio della storia, che diventa al pari delle protagoniste esso stesso un personaggio, con una sua voce e un suo volto. Lo si vede quasi interagire con i personaggi della storia.

Interessante ed emblematico è il bar in cui di notte quasi ogni lavoratore del posto sembra andare a riversare nell’alcool la stanchezza della giornata passata al sole, e che ricorda i saloon del vecchio west. È un luogo che sembra vivere al di fuori del paese, in un mondo sotterraneo di cui non si vede mai l’entrata, ma solo il suo interno fumoso, scuro e sporco in cui vige il degrado ultimo dell’umanità.

Figlia mia: una storia un po’ troppo artificiale

Se da un lato la rappresentazione del paesaggio è impeccabile, dall’altro quella della maternità un po’ meno. Tale pulsione ancestrale è solo decantata, soprattutto dal personaggio della Golino, e mai veramente mostrata. La storia non strappa mai una lacrima o un sussulto, e rimane ancorata a una struttura narrativa fin troppo artificiosa in cui nemmeno gli espedienti narrativi più forti, come quelli visivi, riescono a creare un’emozione forte. Non si instaura empatia nei confronti delle due madri, che anzi rappresentano gli antipodi di tale figura: una troppo apprensiva e morbosa, l’altra distaccata e a tratti quasi irruenta. In quanto entrambe troppo agli estremi, non permettono quella sensazione di immedesimazione che dovrebbe crearsi tra personaggio e spettatore.

Valeria Golino e Alba Rohrwacher non riescono a reggere il peso dell’intera storia, in quanto uniche vere attrici circondate da sole comparse. Le due appaiono a tratti goffe nella parte e poco credibili nel contesto, delle marionette strette nei fili della narrazione, a cui non è concesso un movimento che non sia quello stabilito dalla scrittura.

Laura Bispuri tiene in perenne sospensione il racconto senza mai farlo veramente esplodere. “Figlia mia” non riesce ad uscire da quella che ormai sembra essere la norma stilistica (ed estetica) del cinema d’autore europeo, visto e rivisto nei vari festival, alla pari di quei film che vengono definiti “da Sundance festival” proprio perché tutti uguali.

Riccardo Careddu

Trama

  • Regia: Laura Bispuri
  • Cast: Valeria Golino, Alba Rohrwacher, Sara Casu, Udo Kier, Michele Carboni
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 90 minuti
  • Produzione: Italia, 2018
  • Distribuzione: 01 Distribution
  • Data di uscita: 22 febbraio 2018

Figlia mia locandina ufficiale

“Figlia mia” è ambientato sulla costa occidentale della Sardegna, e racconta la storia di una bambina di 10 anni che vive serenamente con i suoi genitori, legata da un rapporto forte soprattutto con la madre. Tuttavia la bambina si sente insoddisfatta e inizia inaspettatamente a frequentare una donna che abita in una vicina campagna, tanto da iniziare a creare con lei un legame fortissimo, fino a che non scopre che lei è la sua vera madre. Nasce quindi un triangolo di conflitto tra la piccola, divisa tra l’amore della madre che l’ha cresciuta e il fascino di questa nuova figura, e le due mamme, incapaci di condividere il loro amore con un’ altra donna.

Figlia mia: il ritorno alla regia di Laura Bispuri

“Figlia mia” è diretto da Laura Bispuri, una regista emergente del nostro paese che ha diretto anche l’acclamato “Vergine Giurata” nel 2015, sempre con Alba Rohrwacher. Laura Bispuri ha esordito nel mondo del cinema con il cortometraggio “Passing Time” vincitore del Premio David di Donatello come Miglior Corto nel 2010, mentre il suo secondo cortometraggio, “Biondina”, è stato premiato con il Nastro d’Argento come “Talento emergente dell’anno”.

“Vergine Giurata” è stato il suo esordio al lungometraggio e, presentato al Festival di Berlino del 2015, acclamato da pubblico e critica, il film ha fatto guadagnare a Laura Bispuri una nomination come Migliore Regista Esordiente nell’edizione del David di Donatello del 2015.

“Figlia mia” è una co-produzione italiana e tedesca, ed è stato finanziato anche dal MiBACT della regione Sardegna, in cui si ambienta la storia. La sceneggiatura è stata curata dalla stessa Bispuri insieme a Francesca Manieri, che aveva lavorato con lei anche in “Vergine giurata”, e tratta tematiche delicate quali la maternità e l’identità familiare.

Trailer

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