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Ezio Bosso. Le cose che restano (2021)

Recensione

Ezio Bosso. Le cose che restano: la musica che muove la vita

Ezio Bosso. Le cose che restano recensione

“Bisogna pensare alla musica. La musica è come la vita, si può fare soltanto in un modo: insieme.”
Il regista Giorgio Verdelli traccia un ritratto di Ezio Bosso, dopo l’abisso incolmabile lasciato dalla sua scomparsa prematura nel mondo della musica e dell’arte. Un affresco emozionante, vivo, pulsante, un dipinto che emerge dalle parole dello stesso Bosso, un fil rouge intenso della sua vita, tra malattia e successi. Una testimonianza commovente, coinvolgente, che ci apre al suo mondo, dagli esordi, alle umili origini familiari, all’immersione totale in un mondo che era sempre stato parte di lui.

“Pur togliendogli tutto, la vita gli ha regalato il talento e la passione, che rendono la vita vivibile”.
Una narrazione stratificata, tra immagini e suoni, ricordi e interviste, che compone un omaggio cinematografico identificando come narratore principale la seconda ma più importante voce di Bosso: la sua musica.

Trascendere la fisicità per andare oltre

“Ezio era la musica, ma anche il corpo, si trasformava in puro suono”.
“Volevo evocare una presenza e non un ricordo” queste sono le parole scelte da Verdelli per presentare il suo lungometraggio. “Ezio Bosso. Le cose che restano” regala al pubblico un diario illustrato da Ezio in prima persona, nell’intimità del suo sentire, nel suo bisogno di comunicare con il mondo, con chiunque venisse in contatto con lui, in una sorta di abbraccio eterno, quasi a voler trascendere il tempo e lo spazio e continuare a vivere attraverso le sue opere e le emozioni impresse.
“La mia musica non nasce da una pianificazione. Ascoltare la musica è un’esperienza dolorosa. Quando suono diventa immagine, una serie di cellule che gira dentro di me e che va risolta”.

Ezio Bosso. Le cose che restano: appartenersi e comunicare

Ezio Bosso. Le cose che restano

“Ezio Bosso. Le cose che restano” ci racconta un artista dalla presenza scenica esplosiva, dalla naturale empatia, che la malattia aveva amplificato stringendo a lui il pubblico in una commossa vicinanza. Immagini di repertorio lo mostrano al Parlamento europeo, mentre diffonde l’importanza della musica come condivisione e appartenenza, cultura e rispetto.
Verdelli spezza l’emotività delle performance musicali di Bosso con la narrazione dei ricordi parlati, testimonianze che non servono a descrivere tappe essenziali, ma trasmettono sentimenti, spezzoni di anima dell’artista torinese e frammenti di condivisione cercata e voluta ad ogni costo.
La comunanza di visione con Pino Daniele, che Bosso descrive come una sua espansione “avevamo in comune la fame per la musica e la voglia di essere leggeri e prenderci in giro”.

Un bisogno insaziabile per quest’uomo, morto per l’aggravarsi di una malattia neurodegenerativa scoperta nel 2011, che si portava dentro un mondo intero nel quale sapeva muoversi con grande naturalezza.

Immagini di archivio e personaggi a lui vicini ruotano sulla scena e compongono il caleidoscopio del suo breve viaggio. Il fratello Fabio, la sorella Ivana, gli amici Gabriele Salvatores, che lo descrive come la sua anima musicale, Angela Baraldi, Paolo Fresu,, che lo ospitò sul palco del Festival di Sanremo nel 2016.

La sua performance fece commuovere gli orchestrali e culminò in una standing ovation dell’intero pubblico, non solo per lo straordinario artista che era, ma ancor di più per l’uomo, leggero e forte, che sapeva sorridere sulle perdite che la vita gli aveva imposto, non arrendendosi ai confini di una malattia impietosa.
Ezio era un punk per attitudine ed istinto, cresciuto nella Torino creativa degli Anni ’80, “grigia, sporca, quella degli ultimi anni delle contestazioni”, arrivato a calcare le luci della ribalta, dal Regio, alle colonne sonore per Salvatores, alle registrazioni per la Fenice di Venezia, fino al tutto esaurito all’Arena di Verona per i “Carmina Burana”.

“Ezio Bosso. Le cose che restano” ci regala un brano inedito, “The things that remain”, come ultimo messaggio di Bosso al suo pubblico: “Ognuno si racconterà la propria storia e io posso solo suggerire la mia”,
Un suggerimento che supera i confini del tempo, come insegnano le parole della sorella Ivana “la musica è una forma di trascendenza, la trascendenza è qualcosa che ci porta oltre”.

Chiaretta Migliani Cavina

Trama

  • Regia: Giorgio Verdelli
  • Genere: Documentario, colore
  • Durata: 104 minuti
  • Produzione: Italia, 2021
  • Distribuzione: Nexo Digital
  • Data di uscita: 4 ottobre 2021

Ezio Bosso. Le cose che restano locandina film“Ezio Bosso. Le cose che restano” è un documentario diretto da Giorgio Verdelli incentrato sulla vita e la carriera del grande musicista e compositore.

Ezio Bosso. Le cose che restano: la trama

Il documentario incentrato sull’arte e sull’esistenza di questo grande uomo e musicista si sofferma sull’amore di Ezio Bosso per l’arte, vissuta come disciplina e ragione di vita. Bosso racconta se stesso attraverso le sue riflessioni, interviste, pensieri lasciandoci entrare nel suo mondo, come in una sorta di diario. La narrazione è stratificata, in un continuo rimando fra immagine e sonoro, voce e musica.

La narrazione di “Ezio Bosso. Le cose che restano” è arricchita inoltre dalle testimonianze di amici, famiglia e collaboratori che compongono un mosaico accurato e puntuale della sua figura.

Tra i tanti nomi presenti nell’opera spiccano quelli di: Gabriele Salvatores, Valter Malosti, Enzo Decaro, Raffaele Mallozzi, Michele Dall’ongaro, Fabio Bosso, Ivana Bosso, Giacomo Agazzini, Alex Astegiano, Oscar Giammarinaro, Giulio Passadori, Geoff Westley, Paolo Fresu, Silvio Orlando, David Romano, Alessandro Daniele, Angela Baraldi, Alessio Bertallot, Paolo Barrasso, Maurizio Bonino, Stefano Tura, Paola Severini Melograni, Carlo Conti, Gianmarco Mazzi, Tommaso Bosso, Alessia Capelletti, Giulia Vespoli, Virginio Merola, Rosanna Purchia, Diego Bianchi, Cecilia Gasdia, Stefano Trespidi, Michael Seberich, Silvio Bresso, Luca Bizzarri, Paola Turci.

Trailer

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