Amos Poe continua la sperimentazione narrativa con questo docu-drama che fonde realtà e finzione in un vortice inarrestabile di immagini e parole
(A Walk in the Park) Regia: Amos Poe – Cast: Michael Laurence, Dorothy Frey – Genere: Documentario, colore, 106 minuti – Produzione: USA, 2012.
Amos Poe non ha perso la sua voglia di sperimentare i diversi possibili modi di fare cinema, realizzando un docu-drama in cui alla base narrativa costituita dall’esperienza di Brian Fass, protagonista e direttore della fotografia della pellicola, sovrappone la finzione, ma in un modo inusuale e innovativo.
Ad immagini reali, costituite da foto e appunti di Brian, supportati dal suo personale racconto, si sovrappongono scene di finzione, colori, sottotitoli, immagini, come un turbinio inarrestabile di emozioni difficili da controllare, affiancando al racconto soggettivo del protagonista una rilettura oggettiva dei fatti.
Abbiamo così uno schermo che sovrappone immagini, propone doppi sottotitoli, suddivide lo schermo in riquadri, mischia i colori, Brian ha un alter ego che ne interpreta la parte nella finzione.
La natura quasi psichedelica di certe scene contrasta con le immagini pure e salvifiche di Central Park, e con l’interazione coi suoi visitatori, il cui dinamismo si scontra con il profondo buco nero psicologico in cui Brian è calato.
La frammentarietà narrativa data dalla suddivisione in più capitoli non si percepisce, grazie anche ad un accompagnamento musicale che fa da collante al tutto.
Poe ben riesce nel rappresentare i meandri insondabili della mente, in una parabola ascendente che porta il protagonista a ritrovare la luce, ma il film è ostico, difficilmente digeribile, anche per lo spettatore ben disposto.
L’andamento è lento e la fatica nel seguire è tanta, per cui è impossibile non chiedersi se alfine il desiderio di comunicare non sia inferiore al perseguire il puro esercizio stilistico.
Maria Grazia Bosu
