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Tutto tutto niente niente – Recensione

Torna sullo schermo Cetto La Qualunque, stavolta in compagnia di due degni compari, Osco e Frengo, per dar vita ad un terzetto di parlamentari a dir poco inadempienti, purtroppo specchio della malapolitica italiana

Regia: Giulio Manfredonia – Cast: Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Nicola Rignanese, Lorenza Indovina, Lunetta Savino, Maria Rosaria Russo, Davide Giordano, Vito, Teco Celio, Paolo Villaggio – Genere: Commedia, colore, 90 minuti – Produzione: Italia, 2013 – Distribuzione: 01 Distribution – Data di uscita: 13 dicembre 2012.

tuttotuttonientenienteSquadra vincente non si cambia, così Fandango e Raicinema riportano Giulio Manfredonia dietro la macchina da presa per dirigere Antonio Albanese in “Tutto tutto, niente niente”, sequel ideale del successo della scorsa stagione “Qualunquemente”, che ha reso il protagonista Cetto La Qualunque italica icona di un malgoverno e un malcostume tutto nostrano.

“Tutto tutto, niente niente” ha un costrutto narrativo che lo rende autonomo dal precedente capitolo cui deve i natali, basti pensare che Albanese si triplica, affiancando a Cetto altri due personaggi, altrettanto grotteschi e ridicoli, divertenti maschere comiche attraverso le quali Albanese affonda la lama nei difetti del nostro Paese, nella speranza di esorcizzare per il futuro l’iniquità che accompagna i nostri governanti.

Ritroviamo così la gestualità ed il linguaggio di Frengo Stoppato, ‘stupefacente’ sacerdote della religione dell’aldiquà, che passa dalle mise da ‘figlio dei fiori’ alle vesti simil-talari preparategli dall’invadente madre, che lo vuole Beato in vita; e facciamo la conoscenza di Rodolfo Favaretto, alias Olfo, uomo del Nord, col sogno nel cassetto della secessione e della costruzione di una bretella stradale che, facendo tabula rasa di tutto ciò che incontra, colleghi il suo amato paesino con le principali città della zona.

Scenografi e costumisti hanno creato un mondo evanescente e surreale nel quale i protagonisti galleggiano, spostandosi da un Parlamento abitato da uomini con armature che ricordano la Roma imperiale, evocata anche dalle acconciature di molte donne, ad abitazioni come quella di Cetto, simile ad una dimora antica.

Cetto rimane fedele a se stesso, anche in quel di Roma, sia con i modi che con l’abbigliamento eccentrico, che va dai completi viola a quelli con ricami in bronzo, ma anche i pari grado non sono da meno. I personaggi son ben costruiti, curati nel linguaggio e nella gestualità, a rappresentare tre diversi modi di mal interpretare le responsabilità di chi gestisce la cosa pubblica.

Al rodato cast s’aggiungono Lunetta Savino e Fabrizio Bentivoglio, quest’ultimo veste i panni di un sottosegretario a dir poco eccentrico, per la cui costruzione dell’immagine ci si è ispirati a Karl Lagerfeld, dalla capigliatura alla mise.

Albanese, che ha scritto la sceneggiatura a quattro mani con Piero Guerrera, ne ha per tutti, compresa Sacra Romana Chiesa, che, seppur amabilmente, striglia un po’.

La pellicola di Manfredonia corre veloce, seguendo un buon ritmo, diverte e fa pensare, ma è priva di quei momenti esilaranti che hanno inciso sul successo di “Qualunquemente”.

Concludiamo ricordando il motto di Cetto: ”Decidiamoci, i politici o tutti in carcere o tutti fuori. Mezzi dentro e mezzi fuori non è pratico, ne risente il sistema Paese”.

Maria Grazia Bosu

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