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Tron: Legacy – Recensione

Dopo “Tron” degli anni Ottanta, arriva “Tron: Legacy”, una pellicola che compie un perfetto esercizio di stile, attingendo a piene mani ad altri film, ma è priva dell’originalità che contraddistinse il suo capostipite

Regia: Joseph Kosinski – Cast: Olivia Wilde, Michael Sheen, Jeff Bridges, James Frain, Garrett Hedlund – Genere: Fantascienza, colore, 127 minuti – Produzione: USA, 2010 – Distribuzione: Walt Disney – Data di uscita: 29 dicembre 2010.

tron-legacy1982: dal genio di Steven Lisberger nasce “Tron”. Nel 2010 con Joseph Kosinski scopriamo che lo stesso anno dà i natali anche a Sam Flynn, figlio del leggendario creativo, nonché presidente della multinazionale Encom, Kevin Flynn. Nel 1989 scompare misteriosamente, ma solo 21 anni dopo il figlio scopre un modo per ritrovarlo.

“Tron: Legacy” punta il 90% della sceneggiatura sul rapporto tra Kevin e Sam, attraverso cui si snoda una trama semplice, impreziosita da una veste grafica sensazionale, capace di far perdonare alcune pecche dello script. Troppo concentrato nella ricerca della perfezione nel virtuale, rovina tutta la spontaneità di un mondo incredibile, magico, ma imperfetto. Questo è il tormento di Kevin Flynn, nonché la pecca di “Tron: Legacy”.

Con una tecnologia avanzata, con linee essenziali e luminescenti, con un virtuale realistico alla massima potenza, questo lavoro dona allo spettatore tutti i progressi tecnologici fatti fino ad ora, ma non di più. Se il primo capitolo è divenuto una pietra miliare del cinema di fantascienza, al quale si sono ispirati film diventati a loro volta cult, quali “Matrix”, “Star Wars”, “Io, Robot”, “Tron: Legay” non risulta all’altezza. Cerca lo splendore visivo con mirabili esercizi di tecnica, ma perde la genialità e la freschezza del suo antenato.

Impossibile non notare come l’intero lungometraggio rubi qua e là ad altre pellicole del passato, che lo rendono un mix accattivante, ma ben lontano dall’essere all’avanguardia cinematografica. Evidenti sia le dinamiche tra personaggi, che rimangono inalterate rispetto al primo capitolo, sia la coincidenza della prima parte con l’inizio de “La storia fantastica”; ma anche il riferimento ad “Alice nel paese delle meraviglie”, quando Sam scende nell’arena di gioco; proseguendo con “Star Wars”, negli inseguimenti tra navicelle e negli scontri frontali; e con “Matrix”, nei combattimenti in slow motion e in un imbarazzante Kevin “Neo” Flynn, solo per citarne alcuni.

Lo studio della metafora di internet, invece, rimane perfetta: se nel primo avevamo gustato espliciti ingenui, ma acuti, riferimenti a tetris, pacman, snake e pong; in Legacy abbiamo richiami, più velati, alla nuova dimensione informatica, fatta di elementi spontanei, non programmati e auto-generatisi in virtù di condizioni favorevoli, che nel film sono persone/programmi chiamati Iso. È in questa nuova forma di vita evoluta, intelligente, forte e delicata allo stesso tempo, che risiede la capacità di cambiare il mondo reale e virtuale. Nella nostra dimensione noi li chiamiamo contenuti generati dagli utenti.

Questo è un punto fondamentale dell’evoluzione di “Tron: Legacy”: la “fede” nei creativi, che era alla base dello script del primo, cede il passo a software secolarizzati, che, nello specchio contemporaneo, si mescolano indissolubilmente alla realtà, modificandola.

Valeria Bartolini

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