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Trishna – Recensione

La bellissima Freida Pinto è la protagonista di una dura pellicola che parla d’amore, di caste, di divari sociali

Regia: Michael Winterbottom – Cast: Freida Pinto, Riz Ahmed – Genere: Drammatico, colore, 117 minuti – Produzione: Gran Bretagna, 2011 – Data di uscita: 2 novembre 2011.

trishna“Trishna”, presentato nella sezione Occhio sul mondo – Focus al Festival Internazionale del Film di Roma 2011, è la trasposizione cinematografica del romanzo di Thomas Hardy “Tess of the D’Urbervilles”, più volte rappresentato anche a teatro. Michael Winterbotton trasferisce l’ambientazione del racconto nell’India dei nostri giorni, dove ancora vigono nette divisioni tra classi sociali, e lo stile di vita rurale è ben diversa da quella delle città.

Lo script è semplice, per certi versi pure banale è desueto, figlio d’altri tempi, e va sicuramente al regista la colpa di non averlo saputo attualizzare in profondità.

Trishna è una ragazza che vive nelle campagne del Rajasthan assieme alla sua numerosa famiglia; il destino le fa incontrare Jay, un ragazzo figlio di un ricco imprenditore, proprietario di una lussuosa catena di hotel. I due s’innamorano e, nonostante Trishna provi inizialmente a sfuggire a questa relazione che immagina impossibile, ne rimangono entrambi coinvolti.

Winterbotton racconta del loro rapporto, mostrando le contraddizioni di un paese che vuole la modernità, ma non riesce a conquistarla veramente: nonostante la danza, il canto e certi programmi televisivi siano praticati e visti nelle campagne come a Bombay, le divisioni sociali rimangono nette: chi proviene da una famiglia umile è destinato a rimanere ai margini della società; ancora oggi è molto difficile che si celebrino matrimoni tra membri di caste diverse.

Gli attori sono tutti molto bravi, prima fra tutti Freida Pinto, divenuta famosa per “The Millionaire” di Danny Boyle, ma questo non basta a compensare una pellicola inutilmente prolissa, dove uno dei protagonisti cambia ‘pelle’ in maniera repentina e immotivata, stravolgendo la narrazione e portando a un finale da tragedia greca. Quando non si ha niente di nuovo da dire bisognerebbe avere l’umiltà di stare fermi un giro, è inutile produrre per il grande schermo storie già raccontate per riproporne una versione peggiorativa: non basta far indossare ai personaggi abiti moderni per attualizzare una storia.

Maria Grazia Bosu

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