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Ti amerò sempre – Recensione

“Ti amerò sempre”: il dramma di due sorelle separate da un terribile accaduto che si riscoprono unite, imparando ad accettarsi e ad elaborare il passato

(Il y a longtemps que je t’aime) Regia: Philippe Claudel – Cast: Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Serge Hazanavicius, Fréderic Pierrot, Lise Ségur, Jean Claude Arnoud, Claire Johnston – Genere: Drammatico, colore, 155 minuti – Produzione: Francia, 2008 – Distribuzione: Mikado – Data di uscita: 6 febbraio 2009.

ti-amero-sempreUna storia di dolore e di donne forti che riescono a uscire dal tunnel buio per rivedere la luce. Così si potrebbe definire l’opera prima dello scrittore e antropologo Philippe Claudel “Il y a longtemps que je t’aime”, tradotto malamente in italiano “Ti amerò sempre”. Selezionato tra i film in concorso al 58° Festival di Berlino, si è guadagnato la nomination ai Golden Globe 2009 come Miglior Film Straniero.

Juliette esce dalla prigione dopo quindici anni di reclusione per aver ucciso il figlioletto. L’attende la sorella Lèa con cui ha perso ogni contatto. Il ritorno alla vita è duro e le sofferenze del carcere sono tutte sul viso della donna vestita con un cappotto troppo grande per lei e fuori moda. A casa della sorella l’attende una famiglia “Benetton” con due deliziose bambine vietnamite adottate, il cognato sulla difensiva e il vecchio padre di lui rimasto muto dopo un attacco cerebrale ma ben più simpatico. Tra sorrisi tirati e domande inopportune di Piccolo Giglio la più grande delle figlie, inizia un lungo viaggio verso la rinascita e verso la verità, che troppe volte appare celata sotto altre forme. E già… perché, come sosteneva Kurosawa in “Rashmon” e prima ancora Pirandello, di verità ce n’è più d’una. È questo uno dei temi centrali del film insieme al segreto che ognuno di noi nasconde dentro di sé.

La stessa Lèa non ha voluto avere figli suoi per paura di ereditare l’istinto omicida della sorella. Del resto, nei lunghi anni della prigione di Juliette, in famiglia di lei non se parlava neanche più, anche se scopriremo che Lèa per quanto piccola ai tempi dell’accaduto in un qualche modo le è stata sempre vicino, giorno dopo giorno. Il loro padre è morto, la madre si ammala, forse non a caso, di Alzheimer e stranamente esce dalla sua nebbia per un istante quando incontra quella figlia che voleva cancellare dalla sua vita.

Scena dopo scena, Lèa e Juliette, nella bella casa della prima a Nancy, si ritrovano e la loro unione sembra prendere il sopravvento su quella tra marito e moglie. Nel frattempo l’ex assassina, che scopriremo essere medico, incontra vari uomini sulla sua strada, dal poliziotto Faurè al collega di Lèa Michel; entrambi nascondono delle ferite e cercano di aiutare la donna. Philippe Claudel alla sua prima regia racconta una storia dura ma con tocchi lievi.

Le due sorelle interpretate da Kristin Scott e da Elsa Zylberstein sono perfettamente in parte. Notevoli anche i protagonisti maschili, da Laurent Grevill/Michel al dolente poliziotto Faurè/Frédéric Pierrot, per concludere con Serge Hazanavicius nei panni del mediocre marito di Lèa e con il di lui padre Jean-Claude Arnaud. Deliziose e non eccessive le figlie adottate, soprattutto Lise Ségur/ Piccolo Giglio che si potrebbe definire la voce dell’innocenza in un mondo di adulti che hanno paura di affrontare la verità.

Ivana Faranda

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