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The informant! – Recensione

Steven Soderbergh tenta la strada del film verità, non con grandi risultati

Regia: Steven Soderbergh – Cast: Matt Damon, Melanie Lynskey, Frank Welker, Clancy Brown, Patton Oswalt, Scott Bakula, Joel McHale, Thomas F. Wilson, Tony Hale, Mike O’Malley – Genere: Commedia, colore, 108 minuti – Produzione: USA, 2009 – Distribuzione: Warner Bros Italia – Data di uscita: 18 settembre 2009.

the-informantLa prima cosa che colpisce del film di Soderbergh è la straordinaria bravura di Matt Damon, che, decisamente invecchiato ed imbolsito, si muove nel suo personaggio con estrema naturalezza. È lui il pezzo forte di “The Informant!”.

Il plot narrativo è tratto non da un romanzo, come spesso succede, ma dal libro-inchiesta, del giornalista investigativo Kurt Eichenwald, che ha indagato su numerosi scandali finanziari per il “New York Times”. Si tratta quindi di una storia vera, quella di Mark Whitacre, interpretato appunto da Damon, un alto funzionario della ADM, una grande azienda che tratta derivati agricoli, e della sua collaborazione con le autorità per smascherare accordi tra aziende per manipolare i prezzi dei prodotti sui mercati, corruzione, malcostume. Tutto avviene in un susseguirsi di avvenimenti che mostrano anche le ombre del protagonista.

Il libro è avvincente ed il realismo del racconto rende tutto più amaro. Ma il film non decolla, il ritmo è lento, troppo lento, per tenere viva l’attenzione dello spettatore, e la bravura degli attori non basta come collante. Soderbergh, come molti suoi colleghi ultimamente, ha voluto mischiare i generi, fare un film verità, quindi d’inchiesta, con figure classiche: gli agenti FBI, il collaboratore ingenuo, o meglio inesperto, gli avidi affaristi di turno, e nel tutto riuscire anche a far ridere. Alcune situazioni sono surreali e molte battute, lasciate alla voce fuori campo che concretizza il pensiero del protagonista, sono buone ma non graffianti. Peccato, perché con un cast ed una macchina produttiva di questo livello si poteva fare di più. È inutile usare location dove veramente si sono svolti i fatti, ed una cura maniacale nell’abbigliamento (la vicenda risale agli anni Novanta) se poi il regista si perde in riprese statiche e sonnacchiose. Manca il Soderbergh di “Traffic”, di “Erin Brockovich”, e pure quello della trilogia di “Ocean’s”, quelle sue riprese sempre incalzanti, che tengono viva l’attenzione e stimolano la mente, seppure in generi diversi.

Questo film avrebbe potuto smuovere le coscienze di un pubblico oramai assuefatto a scandali e corruzione, destando almeno un po’ di sdegno, ma ha sbagliato completamente il bersaglio. Nel corso della storia si parla spesso della lisina, della spartizione del mercato mondiale della sua produzione, e di un conseguente accordo sul suo prezzo. In quanti sanno che il sale di lisina è uno dei più diffusi antinfiammatori al mondo? In un film di denuncia certe informazioni devono passare, altrimenti è solo intrattenimento.

Maria Grazia Bosu

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