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The Green Umbrella – Recensione

Un bambino iraniano scappa dalla sofferenza della quotidianità per rifugiarsi nella giungla selvaggia dove tutto torna alle origini

(Chatr-E Sabz) Regia: Nasser Refaie – Cast: Ali Aghareza Kashi, Ali Ghafoori, Mahsa Zarinjooei, Keyvan Khanbagi, Habib Afrasiabi, Abbas Keshavarz – Genere: Drammatico, colore, 100 minuti – Produzione: Iran, 2013.

chatre-sabz-1Come un ombrello che ripara dalla pioggia, così la natura protegge il piccolo Mehran, perso nella giungla iraniana.

Questo il senso del titolo che il regista Nasser Refaie e sua moglie scelgono per la storia, scritta a quattro mani, di un bambino che fugge da casa e si addentra nella giungla più selvaggia dopo l’ultimo acceso litigio dei genitori, prossimi al divorzio.

Mehran, nell’ultimo periodo sempre triste, insoddisfatto e solo, trova tra le radure inesplorate una sua dimensione e un senso di pace e tranquillità. Proprio lui che è nato e cresciuto in città, tra cartoni animati e videogiochi, diventerà amico per la pelle di un orsetto, anch’esso solo al mondo.

La regia è molto attenta e si sforza di creare un legame tra il pubblico e il piccolo attore protagonista: una macchina da presa segue costantemente il bambino, incoraggiandone l’identificazione.

Nonostante l’ottimo lavoro di fotografia e di regia, però, la pellicola non è completamente riuscita. La performance di Ali Aghareza Kashi alias Mehran sembra fare a pugni con la scelta stilistica di Refaie: l’attore appare totalmente impreparato a reggere tutto il peso del film sulle proprie spalle. Così come la madre piagnucolosa e il padre ingessato risultano personaggi scritti superficialmente, macchiette di quelle coppie costantemente sull’orlo del baratro tanto diffuse nel terzo millennio.

D’altro canto una scenografia estremamente affascinante e un buon ammaestramento del cucciolo d’orso, lasciano calare l’audience nella natura al contempo protettrice e spaventosa, diametralmente opposta alla modernità e alla civiltà cui siamo abituati.

Il lungometraggio di Nasser Refaie in definitiva non è abbastanza coinvolgente e si ripete troppo spesso rischiando di annoiare; ma ha il pregio di riuscire a far arrivare chiaramente il messaggio sull’importanza della natura, nostra prima vera amica e madre, da cui è possibile tornare ogni volta che ci si trova in difficoltà e che per questo dovrebbe essere sempre protetta e rispettata dall’uomo.

Corinna Spirito

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