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The Grandmaster – Recensione

The Grandmaster: una storia caleidoscopica firmata dal maestro dell’immagine Wong Kar-Wai

(Yi Dai Zong) Regia: Wong Kar-Wai – Cast: Tony Leung, Chang Chen, Zhang Ziyi, Song Hye-kyo, Zhao Benshan – Genere: Biografico, colore, 123 minuti – Produzione: Cina, 2013 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 19 settembre 2013.

TheGrandmaster-locandinaIl leggendario maestro di Bruce Lee nasce a Foshan, nel sud della Cina. Il suo nome è Ip Man. Nel 1936 la nazione è in subbuglio a causa della guerra con il Giappone. L’invasione da parte dell’esercito nipponico delle province del Nord est costringono Gong Baosen, Gran Maestro delle arti marziali della Cina del Nord a lasciare i territori occupati e a riparare a Foshan dove celebrerà il suo imminente commiato. Durante la cerimonia per l’abdicazione di Gong, Ip Man conosce Gong Er, figlia del Gran Maestro e depositaria di una formidabile tecnica di combattimento. Il mondo del kung fu ora attende un nuovo messia.

Torna il cinema di Wong Kar-Wai con una storia caleidoscopica fatta di formidabili ascese, cadute rovinose, tradimenti inaspettati ed eroico coraggio. Il cineasta di Honk Kong non abbandona il suo stile e indaga ancora le situazioni che più lo incuriosiscono: le relazioni impossibili, il ricordo delle emozioni di un incontro tanto breve quanto significativo da diventare il sottofondo costante di una vita intera. Gong Er e Ip Man si incontrano, si affrontano, marchiano le loro anime a vicenda e si dividono lasciandosi rapire dal destino al quale pensano di doversi sacrificare. Sconfiggendo il grande maestro del Nord, Ip Man sconvolge la giovane Gong Er che non aveva mai visto soccombere il padre così da costringerla a sfidare colui che diventerà il mentore di Bruce Lee.

Lo scontro tra i due è una danza sensuale che non ha modo di sfociare in amore passionale: Gong Er è imbevuta nel desiderio di vendicare la morte del padre per mano del proprio delfino, traditore della patria, Ip Man dovrà affrontare la perdita di due figlie e la forzata separazione dalla moglie. Pur avendo dalla sua parte il dinamismo dei combattimenti, descritti con un susseguirsi di immagini mirabili, la narrazione scorre lenta perdendosi a volte in alcuni rivoli che sembrano sottintendere l’avvenimento di qualcosa che però non ha luogo. Al tempo stesso il flemmatico incedere della pellicola dà la possibilità di percepire appieno la poetica del combattimento.

La cinepresa di Kar-Wai supportata dalla filosofia del kung-fu trasforma l’odio per il nemico in una lotta armoniosa in cui la bellezza dei colpi inferti restituisce dignità ai duellanti spesso mossi da bassi istinti. Se la trama non entusiasma, colpa probabilmente di un montaggio che ha sottratto molto alla storia e all’evoluzione dei personaggi, visivamente il film rasenta la perfezione anche grazie ad una fotografia superlativa e per questo, Wong Kar-Wai non possiamo che incoronarlo Gran Maestro.

Riccardo Muzi

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