Un calderone di ispirazioni confuse e non portate a termine per una convincente Robin Wright nei panni di se stessa
Regia: Ari Folman – Cast: Robin Wright, Harvey Keitel, Jon Hamm, Paul Giamatti, Kodi Smit-McPhee – Genere: Fantascienza, colore, 85 minuti – Produzione: USA, 2010 – Distribuzione: Wider Films – Data di uscita: 12 giugno 2014.
Molto più che liberamente tratto dal romanzo di fantascienza “Il congresso di futurologia” di Stanislaw Lem, “The Congress” è l’ultima fatica di Ari Folman, regista israeliano divenuto noto per il suo film “Valzer con Bashir” (2009).
Robin Wright, che interpreta se stessa, dopo essere stata una vera promessa nel mondo delle star e dopo aver preso una serie di scelte sbagliate che hanno portato la sua carriera al limite del fallimento, viene contattata dal suo studio cinematografico, la Miramaount (crasi non casuale tra Miramax e Paramount), per un’ultima proposta.
Il direttore dello Studios le propone, con un discorso evidentemente caricaturale, di scannerizzare la sua immagine e di usarla a suo piacimento per creare film, interviste, serie Tv: le offre, insomma, di diventare la pioniera di un nuovo modo di recitare. Si tratta di una proposta che, nonostante vada contro ogni suo principio etico, le darebbe il sostegno economico necessario per curare suo figlio Aaron (Kodi Smit-McPhee), affetto da una rara malattia, la Sindrome di Usher, che potrebbe renderlo cieco e sordo. In realtà il vero motivo per il quale l’attrice decide, a malincuore, di accettare la proposta della Miramaount, è un altro: il mondo del futuro sta incombendo e quindi occorre iniziare ad accettare il capovolgimento di punti di vista e prospettive di vita. Robin dovrà, però, eclissarsi da ogni media e non recitare mai più: la sua immagine ricreata al computer sarà in mano alla Miramount per venti anni. In questo lasso di tempo lei non sarà più Robin Wright ma una semplice donna bionda e avvenente, come tante altre.
Durante la scannerizzazione digitale della sua immagine le viene chiesto di riprodurre tutta la propria gamma delle emozioni e… ci troviamo vent’anni più tardi. Fino a qui “The Congress” è una poco velata satira nei confronti dell’industria hollywoodiana. La svolta avviene in questo nuovo spazio temporale: la Miramaount si è fusa con una casa farmaceutica, diventando la Miramount-Nagasaki, per creare una formula chimica in grado di commercializzare l’essenza degli attori. In questo modo chiunque può ingerire, anzi sniffare, questa sostanza e trasformarsi, per un breve lasso di tempo, in quel determinato attore.
È come se la società avesse bisogno di illusorie icone che le facciano credere di vivere in un mondo migliore. È, indubbiamente, lo stesso concetto alla base del fantascientifico “Matrix”, solo che nella pellicola di Folman il mondo illusorio è rappresentato da un cartone animato. Analoghi, se non identici, sono invece gli interrogativi filosofici e morali dei due film: è meglio vivere in un mondo brutto ma reale, o è preferibile vivere in un mondo bello ma falso?
“The Congress” è un film altamente discontinuo: è diviso in tre parti (live action, animazione, live action) e trova il suo momento più confuso proprio nella sezione del congresso, dove ne succedono di tutti i colori. Infatti Folman mischia sogni, allucinazioni, spostamenti temporali rendendo il suo lavoro un enorme calderone, magari pieno di intuizioni, ma alla fine privo di sostanza.
Sono apprezzabili le linee e le geometrie perfette dei disegni, i colori pantone, le figure assurde e gli animali di ogni tipo ma non basta giocare con caricature di celebrità per strappare qualche sorriso: manca il sostegno di una sceneggiatura.
Micol Koch