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Still Life – Recensione

Uberto Pasolini torna in sala con “Still Life”, un film socialmente impegnato che riflette su uno dei malesseri più diffusi nella società odierna: la solitudine

Regia: Uberto Pasolini – Cast: Eddie Marsan, Joanne Froggatt – Genere: Drammatico, colore, 87 minuti – Produzione: Gran Bretagna, 2013 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 12 dicembre 2013.

stillifeNon è la prima volta che Uberto Pasolini tocca dei temi sociali forti e profondamente attuali; l’aveva già fatto nel 1997 in veste di produttore della fortunata commedia proletaria made in UK, “Full Monty – Squattrinati organizzati”, in cui si metteva in risalto il fenomeno della disoccupazione, e, successivamente, in qualità di regista nel 2008, con il film “Machan – La vera storia di una falsa squadra”, una commedia di buoni sentimenti incentrata sul problema dell’immigrazione e le politiche che lo regolano.

Questa volta il tema centrale è invece quello della solitudine, una condizione che nella società di oggi tocca i vivi e i morti in egual misura. Qual è il valore di una vita? Proprio intorno a tale questione Pasolini costruisce una pellicola in cui, partendo dalla figura pacata di John May, un uomo che per mestiere organizza funerali a coloro che sono morti in solitudine, arriva a delineare una triste realtà: l’imperante indifferenza nei confronti del prossimo nella società contemporanea. E, in effetti, quale modo migliore per evidenziare questo triste dato di fatto se non ponendo i riflettori sul modo in cui la società tratta i suoi membri più deboli, ovvero i morti?

“Still Life” è un film dai toni bassi, dove tutto, partendo dalla musica lieve, alla desaturazione dei colori, fino ai movimenti di macchina quasi assenti, serve a creare quel mondo ordinato e strutturato in cui vive il protagonista, un uomo solitario e introverso portatore, però, di un’emotività intrinseca che lo rende fortemente umano.

Così come i defunti di cui si occupa, anche il protagonista vive nel totale isolamento senza però rendersene realmente conto. Solo il licenziamento e il successivo coinvolgimento in un ultimo caso lo portano a fare i conti con la realtà, avviandolo verso un percorso di apertura alla vita, fatto di piccoli, ma importanti, passi.

Magistrale è, in questo senso, la bravura dell’attore Eddie Marsan che, attraverso una recitazione contenuta, equilibrata e ‘composta’, rende appieno la dimensione di John May, riuscendo a mostrarne la profonda evoluzione interiore.

In conclusione, è con delicatezza e sensibilità che la pellicola di Pasolini mette in risalto una profonda quanto ovvia verità: il valore di una società si misura dal modo in cui tratta i più deboli, rappresentati in questo caso dai defunti, in quanto, è proprio con lo stesso atteggiamento che essa tratta i vivi.

Francesca L. Sanna

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