Eco Del Cinema

Sono il numero quattro – Recensione

Gli alieni esistono, i buoni sono nove, i cattivi molti di più. Solo sei sono i sopravvissuti e come recita anche nel trailer “John Smith” (Alex Pettyfer) “Prima di arrivare agli altri verranno da me”

(I Am Number Four) Regia: D.J. Caruso – Cast: Alex Pettyfer, Dianna Agron, Timothy Olyphant, Kevin Durand, Teresa Palmer – Genere: Fantascienza, colore, 110 minuti – Produzione: USA, 2011 – Distribuzione: Walt Disney – Data di uscita: 18 febbraio 2011.

sono-il-numero-4“Sono il numero quattro” è l’adattamento cinematografico dell’omonimo libro urban fantasy tratto dal primo dei romanzi di Pittacus Lore. Micheal Bay firma la produzione e questo è un sinonimo di garanzia in quanto a visual effect, in sinergia e a rafforzo della narrazione. Alex Pettyfer, colui che diventerà l’erede di Pattinson, se deciderà di firmare per l’esalogia “The Mortal Instruments”, interpreta il numero quattro, un adolescente alle prese con problemi più grandi di lui, legati non solo all’età transitoria, ma anche all’essere uno dei pochi supersiti di Lorien, il proprio pianeta di origine. Il suo compito è quello di difendere la sua stirpe e la razza umana contro i Mog, alieni molto simili a Voldemort di “Harry Potter” con tatuaggi neri sparsi sul corpo e un notevole senso dell’umorismo, rafforzato da una dose massiccia di armi. Pettyfer riesce a far trapelare le sue potenziali doti attoriali, aldilà della sua avvenenza, anche se finisce troppo spesso per dimenticare di indossare una maglietta.

Dianna Agron è la protagonista femminile, Sarah, passata da ragazza popolare a reietta della società per aver mollato il quarterback del liceo dell’Ohio interpretato da Jake Abel. Dov’è che l’avevamo già sentita questa storia? Ah sì, “Glee”. Dianna Agron, che nel telefilm interpreta Quinn Fabray, non riesce proprio ad abbandonare questi ruoli sospesi e adolescenziali, tant’è che in molte scene sembra quasi che possa intonare da un momento all’altro “Set me free why don’t you baby” o che inizi a cantare “Papa don’t preach”.

Timothy Olyphant e Teresa Palmer, complice anche il valore dei loro personaggi, pur secondari, riescono ad esprimere un ottimo potenziale recitativo e colpiscono positivamente lo spettatore.

Il finale ci lascia presagire che la saga continui, ma senza un’adeguata sceneggiatura a supporto dei successivi capitoli. Questo film, dal grande potenziale su carta, rimarrà sospeso in un limbo: troppo frivolo per gli adulti, troppo pretenzioso, e a tratti crudo, per i ragazzi.

Eva Carducci

Articoli correlati

Condividi