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Slevin – Patto criminale – Recensione

Il promettente regista Paul McGuigan dirige una pellicola noir, piena di colpi di scena e di accurati dettagli in grado di stupire lo spettatore

(Lucky Number Slevin) Regia: Paul McGuigan – Cast: Josh Hartnett, Morgan Freeman, Ben Kingsley, Lucy Liu, Bruce Willis, Stanley Tucci, Michael Rubenfeld, Peter Outerbridge, Kevin Chamberlin, Dorian Missick, Mykelti Williamson, Scott Gibson, Daniel Kash, Dmitry Chepovetsky, Sam Jaeger, Robert Forster – Genere: Drammatico, colore, 109 minuti – Produzione: USA, 2006 – Distribuzione: Moviemax – Data di uscita: 25 agosto 2006.

slevin-patto-criminaleNon sempre puntare sul cavallo vincente porta bene. Specialmente se il cavallo in questione si chiama Slevin, come il Josh Hartnett, protagonista del film diretto dal sottovalutato regista scozzese Paul McGuigan. E il prologo di “Lucky Number Slevin” affina con denso rigore questa regola non scritta. “Patto Criminale”, il sottotitolo italiano, è un perfetto meccanismo ad incastri, dove il noir riscopre il pulp e, fondendosi assieme, generano un gangster movie riveduto e corretto alla maniera moderna.

Lontano dai soliti appellativi tarantiniani, etichette appiccicate ad un genere che partendo dal capostipite (Quentin) ha dimostrato di nutrire una notevole schiera di autori, l’opera di McGuigan appare lo specchio di un genere narrativo che fa della vendetta la sua portata principale. L’uomo sbagliato al momento sbagliato è solo un pretesto per introdurre lo spettatore in un vortice di equivoci e situazioni al limite del farsesco che seducono e ammaliano, attraverso il forte charme emanato dai grandi interpreti della pellicola. Quelli sì, ognuno al proprio posto, dal sicario Willis, al boss Freeman, dal rabbino Kingsley alla coroner Liu, fino allo sventurato protagonista, un apprezzabile Hartnett.

Il film ha due anime, il cuore e il cervello, separate nettamente come lo scorrer del racconto, che prima distoglie l’attenzione e poi affonda la sua lama noir nella morbosa curiosità di chi osserva stupito la mossa Kansas City: ti volti da una parte, mentre ti fregano dall’altra. Ovviamente tutto ruota attorno ad un plot estremamente coinvolgente e quantomeno grottesco, che partendo da un campo lunghissimo di un comune aeroporto a stelle e strisce prosegue con lo scambio d’identità di un ragazzo, Slevin appunto, che vedrà la sua vita deragliare verso circostanze composte da momenti drammatici ed altri prettamente ironici e tipici del pulp d’autore.

Il giovane talento Jason Smilovic, autore di alcune apprezzate serie tv made in USA, firma la sceneggiatura di questo thriller originale e dal colpo di scena in agguato, il quale punta molto sul magnetismo dei dialoghi serrati. Flashback ed eventi in tempo reale si contrappongono con sorprendente efficacia, ogni piccolo dettaglio filmato è un elemento chiave servito allo spettatore col gusto del poliziesco anni Cinquanta a cui si ispira dichiaratamente: quell’ “Intrigo internazionale” girato da Hitchcock nel 1959.

Arrivato a New York, Slevin, si trova apparentemente in mezzo ad una guerra fra bande rivali, “gli abbronzati” e “i circoncisi” (come afferma uno dei loschi personaggi invischiati), e non può far altro che cercare una via d’uscita a questa situazione.

“Patto criminale” avvince sin dall’inizio e non delude mai. Un film che, uscito in sordina, si è poi rivelato una delle opere più solide del panorama noir e a cui McGuigan, autore anche del magnifico “Gangster N.1”, ha saputo restituire brillantezza e dotare di una pregevole manifattura, specie nel convulso e sanguinoso finale. “Slevin” prende spunto dalla nuova moda della vendette all’orientale, che è dilagata grazie a talenti come Park Chan-Wook, conservando però la spettacolarità del cinema americano più raffinato, dunque privo delle sparatorie e delle altre frivolezze tanto care al genere gangster. Attenzione ai particolari e precisione nella narrazione sono il cavallo di battaglia dell’intera vicenda, un cavallo su cui stavolta è facile puntare una volta usciti dalla sala.

“Non sono Nick Fisher…sono solo uno capitato nel posto sbagliato al momento sbagliatissimo”.

Simone Bracci

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