“Chi si loda s’imbroda”, si dice…
Regia: Roberto Faenza, Filippo Macelloni – Genere: Documentario, colore, 85 minuti – Produzione: Italia, 2011 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: 25 marzo 2011.
“Silvio Forever” è il nuovo film diretto da Roberto Faenza e Filippo Macelloni. Il titolo, per nulla esplicativo, cita testualmente le parole di una canzone che gli autori Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella hanno trovato navigando sul web, proprio in cerca di materiale per quest’idea allora in cantiere.
Ovviamente il baricentro dell’intera pellicola è lo stradiscusso Cavaliere: Silvio Berlusconi. Ma stavolta non v’è il tentativo di creare un prodotto mirato all’azione/informazione militante, l’obiettivo principale è, bensì, quello di narrare le cronache della vita di un mistico personaggio da quando, poco più che bambino, chiedeva ai compagni di scuola pochi spiccioli dopo averli aiutati nei compiti: “Chi non riuscirà a strappare un 6- riavrà indietro il compenso”, queste le parole del futuro imprenditore. La storia di quest’uomo arriva fino ai nostri giorni e si concentra principalmente, e naturalmente, sull’ultimo ventennio, in cui il Presidente del Consiglio si è trovato al centro di eclatanti e spesso eccentriche situazioni.
Si potrebbe pensare ad un documentario, ma non è così. Si tratta in realtà di una sorta di documento, con il quale i registi vogliono raccontarci una storia attraverso le parole dello stesso protagonista. Ritmo e montaggio sono lievemente diversi rispetto a quelli dei documentari canonici. Assistiamo ad una costruzione efficace da cui traspare un effetto collage di video, foto ed interviste che riguardano il Premier. Laddove il materiale audiovisivo non supporta il testo, interviene la voce di Neri Marcorè ad interpretare l’istrionico personaggio.
Si ha la netta sensazione di trovarsi dinanzi al ritratto dell’italiano medio, popolare, dal linguaggio semplice ed efficace, un uomo come tanti, saccente e sicuro di sé, pronto a lavorare duro per ottenere ciò che vuole, ma privo di senso dell’umiltà che gli permetta di accettare un critica o un parere contrario.
Traspare una triste ironia, perché non potrebbe essere altrimenti; certo, si ride. Ma si ride di chi? Dietro l’ambiguità e l’ambivalenza delle parole di un uomo che ha saputo parlare alle folle si cela il male nascosto di un Paese, in certi momenti sembra quasi che lo spettatore rida di se stesso, qual è il vero problema? Il commediante o la folla?
Autori e registi hanno voluto dare un’immagine abbastanza neutrale del Cavaliere, non hanno voluto ‘messaggiare’ le convinzioni di questa o quella partizione politica, citando testualmente le loro parole. Volevano che ne scaturisse una sorta di istantanea autobiografica, sempre se di autobiografia si può parlare, che permettesse allo spettatore di farsi una propria idea, avulsa da contestualizzazioni e posizioni politiche premeditate.
Ciò che ne risulta è uno schema in alcune parti un po’ asettico, e sembra venga fuori dal coro un voce prepotente che si scagli contro le folle, una voce che urla: “Si voi ridete. Ridete della signora che non vuole che Canale 5 chiuda. Ridete dei gruppi di fanatici che urlano l’inno di Forza Italia. Voi ridete, e continuate a ridere. Ma quelli siete anche voi, siamo noi, tutti.”
Questa è l’innata, malinconica vena che attraversa la pellicola e che a mio giudizio emerge in maniera particolarmente forte.
Divertentissimi i video esteri rubati al web, quasi tutte parodie abbastanza forti sul bunga bunga e le belle donne; scorci tragicomici accompagnano la visione del film e l’incessante senso di tristezza incalza con l’incedere delle immagini e delle parole che ne susseguono.
Ma è una tristezza che provoca tenerezza, rammarico, incomprensione, rabbia, incertezza. Ad un certo punto l’ironia scivola e si evolve e l’impercettibile metamorfosi si adagia nella mente dello spettatore, e diventa domanda, infine: “ma, di chi sto ridendo adesso, di Lui o di me?”.
Risuonano le parole di Indro Montanelli, presso la villa di Arcore, dopo aver declinato l’offerta del Cavaliere di un posto, nella sala dei loculi del ‘mausoleo’, accanto a Previti e Dell’Utri: «Domine, non sum dignus».
Nadia Fontanella