Eco Del Cinema

Silent Souls – Recensione

Premio Fipresci della Critica Internazionale a Venezia, e un film poetico sull’amore e le tradizioni, non per intrattenere ma per riflettere

(Ovsyanki) Regia: Aleksei Fedorchenko – Cast: Igor Sergeyev, Yuriy Tsurilo, Yulia Aug, Ivan Tushin – Genere: Drammatico, colore, 75 minuti – Produzione: Russia, 2010 – Distribuzione: Microcinema – Data di uscita: 25 maggio 2012.

silent-souls“Silent Soul – Soltanto l’amore non ha fine” prende spunto da un racconto di Aist Sergeyev, “The Buntings”, e attraverso un ‘viaggio’, quello di Miron e Aist, che devono dare l’ultimo saluto a Tanya, la moglie di Miron, mostra allo spettatore le tradizioni di un antico popolo ugro-finnico, i Merja, oramai assimilato dalla cultura russa da quattrocento anni, di cui rimangono, come testimonianza tangibile del loro passato, solo i nomi di alcuni fiumi.

Tanti i temi affrontati dal regista in questa narrazione solo all’apparenza semplice: l’elaborazione del lutto, il sopravvivere delle antiche tradizioni, la magnificenza della natura, il viaggio come metafora del mutare della vita, tutto avvolto da un’intensa tenerezza.

Fedorchenko mostra come Miron e il suo amico Aist, egregiamente interpretati, nonostante vivano come un qualsiasi russo, per la cerimonia funebre di Tanya ritrovano la loro diversità, il piacere dell’osservare le loro antiche tradizioni. Tradizioni di un popolo che ha divinità da onorare, ma antichi rituali pagani da osservare nei momenti cruciali della vita, come la perdita di Tanja per i due uomini. I Merja credono intensamente nella potenza dell’Amore e nell’Acqua, quest’ultima una sorta di ‘origine’ alla quale tutti tendono a tornare, la morte per annegamento è infatti per questa gente la conclusione più grandiosa della vita.

Il regista, da sempre dedito al riscoprire tradizioni e credenze delle etnie minori assimilate dal popolo russo, crea, grazie anche a studi minuziosi e analisi puntuali di reperti archeologici, un mondo parallelo in cui i due uomini si muovono. Magari ‘facendo fumo’, cioè parlando di Tanja per tenere vivo il ricordo, anche attraverso il racconto di dettagli della vita intima della coppia, per molte culture decisamente sconvenienti, qui proposti con tenerezza e nostalgia, mai con volgarità, come per omaggiare la donna e l’amore.

Di particolare intensità e poesia i ricordi di Aist, la sua infanzia, la figura fuori dagli schemi di suo padre, la grande nostalgia che pervade ogni fotogramma.

I movimenti della macchina da presa sono inusuali e coinvolgenti, e la fotografia (giustamente premiata alla 67. Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia con l’Osella per il Miglior Contributo Tecnico alla Fotografia) rende giustizia ad un paesaggio intenso e sconfinato, più che cornice, coprotagonista delle vicende.

Simboliche molte inquadrature, come quelle che vedono i due uomini in macchina, ripresi da dietro, quasi a voler indicare che anche la strada che si intravede tra loro, fa parte del racconto.

Il titolo originale “Ovsyanki”, significa zigoli, il nome della coppia di uccellini, piccoli passerotti, che accompagna le due ‘anime silenti’ durante l’ultimo viaggio.

Maria Grazia Bosu

Silent Souls – Recensione

Articoli correlati

Condividi