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Silent Hill: Revelation 3D – Recensione

Tanto rumore per nulla, o per poco, in questo sequel che, come il primo capitolo, trae ispirazione da un noto videogioco

Regia: Michael J. Bassett – Cast: Sean Bean, Carrie-Anne Moss, Malcolm McDowell, Kit Harington, Radha Mitchell – Genere: Horror, colore, 94 minuti – Produzione: USA, Francia, 2012 – Distribuzione: Moviemax – Data di uscita: 31 ottobre 2012.

silent-hill-revelation-3dChristophe Gans cede la macchina da presa a Michael J. Basset, che riporta sullo schermo i demoni di “Silent Hill”, basandosi, come il suo predecessore, sull’omonimo videogame della Konami, un vero cult per gli appassionati del settore.

Poco apprezzata dalla critica ma amata dal pubblico, tanto da far pensare a questo secondo episodio, la pellicola di Gans è ritenuta dagli estimatori la migliore trasposizione cinematografica di un videogame.

“Silent Hill” aveva colpito per come i realizzatori avevano saputo innestare, seppur non in modo perfetto, un intreccio narrativo, degno di essere chiamato tale, in quella che era la struttura action del gioco, senza tradirne l’essenza.

In questo nuovo capitolo la costruzione filmica non è altrettanto riuscita: la protagonista, Heather Mason (la bimba, oramai cresciuta, del primo film), perennemente in fuga assieme al padre (che ha sempre il volto di Sean Bean, di certo sprecato in questo ruolo), alla scomparsa di quest’ultimo si mette sulle sue tracce, ripiombando nell’incubo dal quale non sapeva neppure di provenire.

La ragazza alla ricerca del genitore, ritorna nel paese dove tutto ebbe inizio; purtroppo l’ambientazione cupa e una colonna sonora inquietante sollecitano lo spettatore in modo superficiale, senza veri picchi di tensione, a causa di un costrutto narrativo troppo fragile, incapace di sostenere la pellicola per tutta la sua durata.

Così, nonostante le scene horror che si susseguono, la paura è poca, le immagini scivolano via le une dopo le altre, come un ripetersi perpetuo di cose già viste, troppo prevedibili per lasciare il segno nello spettatore, che dimentica tutto ancor prima di varcare la porta d’uscita della sala cinematografica.

Peccato, perché la carne al fuoco era tanta, e le chance per ottenere un buon prodotto c’erano tutte: sarebbe bastato rincorrere un po’ di meno la tecnologia (lo sbandierato 3D lascia completamente indifferenti) e curare un po’ di più i dialoghi, per rendere il tutto, per quanto fantasioso, un po’ più ‘credibile’.

Daniele Battiston

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