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Sacro GRA – Recensione

Sacro GRA: un documentario che spinge a guardare oltre l’asfalto del Grande Raccordo Anulare, per cogliere la realtà viva che lo circonda

Regia: Gianfranco Rosi – Genere: Documentario, colore, 90 minuti – Produzione: Italia, 2013 – Distribuzione: Officine Ubu – Data di uscita: 26 settembre 2013.

SACRO-GRAVincitore del Leone d’Oro per il miglior film alla 70° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, “Sacro GRA” nasce dalle mani e dallo sguardo del regista Gianfranco Rosi, ma ancor prima da un’idea del paesaggista-urbanista Nicola Bassetti, che percorse a piedi il GRA per rivalutarlo come spazio urbano. Gianfranco Rosi si unirà a Bassetti durante le prime peregrinazioni, per poi perdersi solo tra le storie invisibili di coloro che popolano la cintura del Raccordo, la più lunga autostrada urbana d’Italia.

L’umanità sommersa e periferica che questo documentario racconta si rivela bizzarra, umile, solitaria, ma a suo modo filosofica, dotata di valori antichi. Si passa dalla schiera di lavoratori silenziosi della notte, tra cui spicca il barelliere del 118 sempre pronto a soccorrere il prossimo ai margini di Roma, al pescatore di anguille Cesare, l’unico a essere rimasto con una vera passione per il proprio umile mestiere; seguono poi la figura del principe sepolto nella ricchezza della propria villa sul GRA, quella del nobile che vive con la figlia in un monolocale talmente angusto da costringerlo a sopperire alla mancanza di spazio con discorsi verbosi e incessanti, quella del buffo attore di fotoromanzi in coda sul Raccordo prima del lavoro, per finire con la più filosofica, quella del palmologo in lotta con i parassiti che attaccano le palme, le piante con “la forma dell’anima umana”.

Il viaggio nato da Bassetti e concluso da Rosi non definisce l’identità unica del GRA, ma ne scova molteplici, anche in contraddizione tra loro. Il “Sacro Graal” del Raccordo potrebbe essere proprio però l’esistenza di un’uniformità, di una certa continuità nella mancanza di struttura e regolarità di esso: la scoperta del GRA come spazio anche umano, per giunta ricco di sfumature poetiche. Non più solo percorso autostradale fine a sé stesso, ma paesaggio abitato e vivo. Le numerose inquadrature dall’alto contribuiscono ad accrescere la bellezza di un panorama di cui nessuno si accorge nella quotidianità dei propri spostamenti convulsi.

Lo stile registico di Gianfranco Rosi corona un progetto di per sé già affascinante, si va ad aggiungere al potere narrativo delle storie dei personaggi portati sullo schermo. Per ogni protagonista, il regista sceglie un’angolatura diversa della cinepresa, ma riesce a dotare ogni vicenda della medesima intensità. Il cielo plumbeo incombe come una costante sul GRA, insieme ai rumori che accompagnano queste esistenze vissute sul bordo di un’autostrada: le macchine che scivolano sull’asfalto, i clacson e gli aerei pronti ad atterrare costituiscono la colonna sonora del film, non trasmettendo una sensazione di ansia urbana, bensì di calma.

Tra le soluzioni di maggior fascino, c’è la suddivisione delle storie tra giorno e notte: alla luce del sole, tutto appare come fosse sovraesposto, accecante, mentre nel buio della notte i personaggi si trovano più a loro agio; l’anguillaro si cala sul Tevere nella pace dell’alba così come il palmologo fa ricerche per sconfiggere i piccoli nemici delle palme. Anche un evento caotico come l’ingorgo sul GRA a causa della neve acquista bellezza e fascino, grazie alla mano di Rosi.

“Sacro GRA” emerge nel panorama dei documentari, perché riesce a non essere neutro, distaccato. È lo sguardo del regista a conferire umanità e calore a una galleria di personaggi in grado di mostrarci il lato buffo e tenero della disperazione, della solitudine.

Irene Armaro

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