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Recensione “Triangle of Sadness”: la messa a nudo del mondo della moda da parte di Ruben Östlund

Un grande successo per il nuovo film del regista svedese Ruben Östlund, già vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes del 2017 con il film “The Square” e della sezione un certain regard al Festival di Cannes del 2014 con il lungometraggio “Forza maggiore”. Östlund torna così al cinema con “Triangle of Sadness“, suo primo film in lingua inglese, realizzando una satira tagliente, esilarante e una riflessione sul mondo della moda e sul senso del denaro.

“Triangle of Sadness” – Tutte le informazioni

Trama

Recensione Triangle of Sadness

Carl e Yaya, coppia di giovani modelli che vedono nella loro relazione anche la possibilità di aumentare i propri follower, vengono invitati a una crociera di lusso alle Bermuda quando il loro rapporto sembra essere a un punto di svolta. In particolare Carl appare deciso: le promette che la farà innamorare di lui. Durante la crociera Carl e Yaya si imbattono in alcune delle personalità più assurde mai incontrate, tra cui Dimitrij, un magnate russo che viaggia insieme con la moglie e l’amante, e due anziani milionari adorabili e produttori d’armi. Durante una cena, dove è presente anche il capitano della nave, Thomas, perennemente sotto l’effetto dell’alcool, spinto dal primo ufficiale Paula a uscire dalla propria cabina, una tempesta causa una serie di disagi, i passeggeri iniziano a sentirsi male e sembra proprio che la nave corra il rischio di affondare.

Crediti

  • Regia: Ruben Östlund
  • Cast: Harris Dickinson, Charlbi Dean, Zlato Buric, Dolly de Leon, Oliver Ford Davies, Woody Harrelson, Vicki Berlin, Amanda Walker, Iris Berben
  • Genere: commedia satirica
  • Durata: 142 minuti
  • Produzione: Svezia, Germania, Francia, 2022
  • Distribuzione: Teodora Film
  • Data d’uscita: 27 ottobre 2022

La candidature all’Oscar 2023

“Triangle of Sadness” ha fatto incetta di nomination vincendo inoltre la Palma d’oro al 75º Festival di Cannes, che costituisce la seconda per il regista Ruben Östlund dopo quella vinta per “The Square”. “Triangle of Sadness” ha vinto, sempre durante il Festival di Cannes, il premio AFCAE ed è stato candidato al Prix CST de l’Artiste-Technicien. Il film ha inoltre ricevuto 2 nomination ai Golden Globe ed è candidato a 3 premi Oscar, tra cui quello nella sezione più importante, cioè miglior film. Le altre nomination agli Academy Awards sono quelle per la migliore regia a Ruben Östlund e per la migliore sceneggiatura originale allo stesso regista Östlund.

La recensione

Schiavi del denaro ma dominatori del lusso

Triangle of Sadness

Un prologo, tra i titoli di testa, che risulta la scena migliore del film: vera, divertente e ritratto di un mondo; e così “Triangle of Sadness” racchiude nei suoi primi minuti il significato dell’intero racconto. Dalla frivola superficialità del mondo della moda alle differenze di genere che trovano il loro ambiente naturale dove regna sovrana l’apparenza. Un dialogo velato di amara ironia, quello tra gli attori Harris Dickinson e Charlbi Dean, con un gesto che porta a un litigio e a un ragionamento sugli stereotipi, sui ruoli e su quella manipolazione che può contraddistinguere i rapporti. Due interpretazioni davvero sorprendenti, dove si parla di soldi senza realmente parlarne, e si inizia a sentire quell’opprimente peso schiacciante della ricchezza.

Nei 3 capitoli della pellicola di Ruben Östlund, divisi nei titoli Carl e Yaya, lo Yacht e L’isola, elementi, situazioni, inquadrature e sceneggiatura subiscono continui ribaltamenti, capovolgendo non solo la storia ma anche l’universo che il regista decide di rappresentare, metafora estrema e surreale di un mondo costantemente diviso tra schiavi e padroni del denaro. Perché è proprio questo, il denaro, e la ricchezza o povertà che ne può conseguire, il tema di “Triangle of Sadness”. Il regista svedese lascia però da parte per più della metà del film la miseria e la mancanza di risorse necessarie, mostrando tra i personaggi quei ricchi capricciosi e inconsistenti, che si presentano, ignari, in tutta la loro mostruosità.

“Triangle of Sadness” e le diverse tematiche che affronta

Triangle of Sadness

Lo yacht dove Carl e Yaya si imbarcano per la loro crociera di lusso è popolato dai milionari della peggior specie, ai quali ogni cosa è dovuta e ogni sfizio o voglia improvvisa, per quanto stravagante e assurda, va soddisfatta. “Quello che voglio sentire oggi è solo Si signore, Si signora” è la frase che viene detta dal primo ufficiale Paula che insegna e impone, con smania e un pizzico di follia, a mettere i desideri di quei ricchi passeggeri al primo posto. Una satira sferzante, una regia travolgente, con inquadrature che seguono l’andamento di una nave in un mare in tempesta, una sceneggiatura feroce e delle grandi interpretazioni fanno di “Triangle of Sadness” un film quasi perfetto; salvo forse un minutaggio eccessivo, ma comunque godibile per l’intera durata.

“Triangle of Sadness” esplora una moltitudine di tematiche e, nonostante al centro ci siano i ricchi o i figli dell’era dell’immagine, il ribaltamento che diventa, scena dopo scena, tipico del film, riesce a rovesciare anche quella piramide gerarchica considerata imbattibile. Con i loro abiti firmati e le loro collane di perle, tutti, nessuno escluso, falliscono nel tentativo di mantenere quel distacco e quella noncuranza, per quanto vi si sforzino, di fronte a una catastrofe imminente. I personaggi affogano così nei loro escrementi e fluidi corporei, incapaci di affrontare mali che non hanno prezzo: Ruben Õstlund fa così letteralmente a pezzi quella giungla di creature tanto divertenti quanto crudeli. I personaggi dello yacht, vittime deboli e inermi, sono gli stessi carnefici che, nella tranquilla quotidianità, potrebbero essere facilmente dediti a quella brutalità, propria di coloro che vedono in ogni capriccio un diritto opportuno e doveroso.

L’illusione di un mondo senza disuguaglianze e sfruttamento

Triangle of Sadness

Nel film di Östlund non c’è effettivamente nulla di nuovo da scoprire, ma la capacità del regista di rendere la sua satira così densa di situazioni, così diversa in ogni episodio e con una dose di colpi di scena non indifferenti, contribuiscono a fare di “Triangle of Sadness” una metafora prima sottile, poi esagerata, sfrenata e infine adeguatamente smisurata ed esilarante. Una spietata rappresentazione di un’umanità che si scontra con un nuovo concetto di esistenza: “Triangle of Sadness” è quel politicamente scorretto di cui si aveva bisogno e che tra sfruttamento e disuguaglianza sociale vede finalmente gli eredi del capitalismo e del socialismo affondare insieme. La scala sociale cambia direzione e l’oppresso diventa oppressore. Dal matriarcato a una sorta di dittatura del proletariato chi per anni ha pulito il disgusto di chi si è limitato solo a sporcare, sente che ora è arrivato il proprio turno.

Come in “Il signore delle mosche” la giovane età e l’inesperienza dei personaggi avrebbe potuto definirli salvabili, anche nella loro violenza, qui inizialmente sembra non esserci alcuna giustificazione. O forse sì: quella che una volta era un’aristocrazia colta e istruita è oggi rappresentata da coloro che in realtà del mondo non sanno nulla, profondamente disinteressati e che non hanno mai dovuto lottare per arrivare dove si trovano. In “Triangle of Sadness” neanche su un’isola deserta, uniti da un tragico destino, si possono realmente trovare solidarietà e uguaglianza. Östlund sembra così dichiarare, sottilmente, lasciando sempre una libera interpretazione, che l’idea di essere tutti uguali ha il diritto di sfiorare la mente dell’essere umano, ma la realtà più lucida e dissacrante torna a rimarcare che si tratta solo un’illusione. E se c’è anche il rimando alla famosa frase “i soldi non fanno la felicità”, il regista mostra però come questo sembri valere solo nella disastrosa dinamica di un naufragio, dove sopravvivenza e salvezza non si possono comprare.

Trailer

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