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Recensione “Sanctuary”: un gioco (auto) lesionista, non romantizzato, ma romantico

Sanctuary è la seconda opera sul grande schermo per Zachary Wigon, che precedentemente si era dedicato alla co-produzione di Homecoming, serie tv firmata Amazon candidata ai Golden Globe.

Girato in soli diciotto giorni, ambientato quasi interamente nella stanza di un albergo di lusso e concepito durante il lockdown pandemico, il film presenta un’impostazione di matrice teatrale e contamina il linguaggio del thriller psicologico con sfumature da commedia surreale.

Indice

Sanctuary: tutte le informazioni

Trama

Hal, ricco e impacciato rampollo che sta per ereditare la gestione della redditizia azienda familiare, è solito intrattenere rapporti occasionali con Rebecca, una giovane dominatrice specializzata in pratiche sessuali. Lui scrive nel dettaglio le sceneggiature di come devono avvenire i loro incontri, lei recita ogni volta, con grande sensualità, la parte che le viene assegnata.

Quando Hal decide di interrompere questo “legame” per non avere segreti che possano compromettere la sua credibilità all’interno dell’azienda, Rebecca, affezionata ai perversi incontri con il facoltoso cliente, non accetta la separazione e dà inizio a un conturbante gioco al massacro di ricatti e manipolazioni per fargli cambiare idea.

Crediti

  • Data di uscita: 25 maggio 2023
  • Regia: Zachary Wigon
  • Sceneggiatura: Micah Bloomberg
  • Genere: Thriller
  • Durata: 97 minuti
  • Fotografia: Ludovica Isidori
  • Montaggio: Kate Brokaw, Lance Edmans
  • Musiche: Ariel Marx
  • Produzione: Rumble Films, Charades, Mosaic Films, Hype Film
  • Distribuzione: I Wonder Pictures
  • Attori: Christopher Abbott, Margaret Qalley

Recensione

I primi venti minuti di Sanctuary sono da incorniciare: lasciano storditi e confusi, rimandano ogni spiegazione, disperdono il senso di ciò che accade, ogni elemento in apparenza risolutivo non fa che aumentare il mistero e gli interrogativi sul possibile significato di una sequenza di apertura che allo stesso tempo è di chiusura (nella stanza di un albergo di lusso, unica ambientazione del film) e vuole farci sincronizzare con l’asincronia dei personaggi principali rispetto alla musica monotona del mondo esterno.

L’intraprendenza e la mania di controllo del personaggio di Rebecca, interpretato in assoluta scioltezza dall’astro nascente Margaret Qualley, si incastrano alla perfezione con l’ingenuità e la pigrizia dell’altrettanto promettente Christopher Abbott, creando un vortice psicotico travolgente non privo di sbavature, che però cavalca con intensità la claustrofobia nevrotica dell’ambientazione e tiene lo spettatore incollato allo schermo.

Per tenersi in piedi, una volta svelate le regole del gioco, la sceneggiatura prova a ribaltarle aggrappandosi talvolta a trovate surreali e sopra le righe. La regia dinamica di Wigon asseconda questa tendenza, esplode in primi piani sgargianti e movimenti di macchina improvvisi per scansare la prevedibilità della location, si attacca alle emozioni (e a un certo punto persino alle erezioni) dei protagonisti, li segue senza tregua nelle azioni sfrenate così come nei momenti più statici e riflessivi.

Dietro la follia casalinga e il funambolismo spinto del rapporto (dis)funzionale tra Rebecca e Hal vi è certamente il disagio di stare al mondo governati dalle convenzioni sociali e dalle imposizioni esterne. Non a caso, il film è ambientato in luogo chiuso e isolato, dove le regole possono essere riscritte a proprio piacimento e la normalità può assumere un significato del tutto differente da quello comune.

Hal sta per intraprendere un percorso già segnato, è un bambino spaventato nel corpo di un uomo, possiede un ingente patrimonio che non ha idea di come gestire se non assumendo una schiava/padrona sessuale che esaudisca i suoi desideri più strambi. Rebecca, nondimeno, è una donna furba, piena di risorse e fuori dagli schemi, ma solo quando lavora come dominatrice, poiché nel quotidiano è invece andata incontro alla peggiore delle normalizzazioni.

Il desiderio di fuggire questa normalità allo scopo di accogliere un appagamento dalle ragioni ignote e irrazionali, di trovare il proprio posto nel mondo in un luogo che per il mondo non esiste, misto alla sublime e bambinesca eccitazione di scagliarsi contro una tempesta emotiva fatta di minacce goliardiche e giochi psicologici infantili, rendono piacevolmente intriganti e non scontate le dinamiche sessuali e sentimentali che avvolgono i protagonisti della pellicola.

Il gioco al massacro proposto da Zachary Wigon è sfrenato e (auto) lesionista, cinico e diabolico, mai romantizzato e anche per questo paradossalmente romantico e (in)appagante.

Conclusioni

Sanctuary è un film insolito e coraggioso, che paga alcuni difetti di costruzione narrativa e forse non riesce a dosare gli ingredienti a tal punto da raggiungere un picco drammaturgico degno di nota, eppure a suo modo brilla per inventiva e originalità, incoscienza e voglia di rischiare, trascina lo spettatore in un vortice di emozioni incontrollate e incontrollabili, romantiche e non romantizzate.

Trailer

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Corrado Monina

Corrado Monina

Mi chiamo Corrado, mi occupo di sceneggiatura, regia e critica e lavoro per il Filmstudio di Roma come responsabile creativo. Amo il cinema, la musica e tutto ciò che ruota intorno alle arti visive e alla letteratura.

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