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Recensione “La Quattordicesima Domenica Del Tempo Ordinario”: ovunque nella stanza ci son sogni (non) realizzati

La Quattordicesima Domenica Del Tempo Ordinario è il film più autobiografico, personale e sincero del regista e sceneggiatore Pupi Avati, maestro del cinema italiano che nella sua carriera ha sempre avuto l’ardore di sperimentare, attraversando generi e atmosfere differenti (talvolta opposte) con ammirevole versatilità.

Il titolo del film è un riferimento esplicito al tempo liturgico della Chiesa cattolica – il Tempo Ordinario, appunto – che dura trentatré o trentaquattro settimane. Apparentemente noioso e di semplice riempimento tra le principali festività dell’anno, è invece un periodo di fondamentale importanza per la Chiesa stessa, poiché rappresenta la bellezza della quotidianità, durante la quale ci si prepara e si sviluppano l’attesa e la mancanza degli eventi più significativi.

Durante il Tempo Ordinario, la Chiesa è solita celebrare i matrimoni e Pupi Avati, allo stesso modo di Marzio, il protagonista del film, si è sposato proprio in quel periodo, precisamente il 24 giugno del 1964.

Indice

La Quattordicesima Domenica Del Tempo Ordinario: tutte le informazioni

Trama

Il film segue, in ordine non cronologico e con salti temporali molto frequenti, l’epopea di vita del protagonista bolognese Marzio Barreca. Quando si conoscono da bambini, lui e Samuele giurano di restare amici per sempre. Durante la giovinezza, fondano un duo musicale, i “Leggenda”, scrivono e cantano i loro inediti sognando di arrivare sui grandi palcoscenici italiani.

Nel frattempo, Marzio si innamora perdutamente di Sandra, una ragazza conosciuta anni prima durante un concorso. Dopo averla desiderata e corteggiata a lungo, riesce a sposarla, ma la paura di perderla lo spinge ad esplodere in continui attacchi di gelosia che rischiano di rovinare il loro rapporto.

Anni dopo, Marzio entra nell’età della vecchiaia e intorno tutto è cambiato. I sogni che lo hanno accompagnato per tutta la vita gli sembrano ora completamente irrealizzati. Un giorno, lui e Sandra si rincontrano e si vedono costretti ad affrontare nuovamente le emozioni vivide del passato.

Crediti

  • Data di uscita: 4 maggio 2023
  • Regia: Pupi Avati
  • Sceneggiatura: Pupi Avati
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 98 minuti
  • Produzione: Duea Film, Minerva Pictures, Vision Distribution, Sky
  • Distribuzione: Vision Distribution
  • Attori: Gabriele Lavia, Edwige Fenech, Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo, Cesare Bocci, Nick Russo, Massimo Lopez

Recensione

Ovunque nella stanza ci son sogni non realizzati
Si involano lontano nel silenzio terre remote
Le cose belle son volate via, lasciandomi nel buio della vita
Le tue labbra che cercano le mie, le tue labbra che trovano le mie..

Recita così il segmento di testo più intenso della canzone, insieme diegetica ed extra diegetica, che rappresenta allo stesso tempo il singolo musicale di Marzio e Samuele e la colonna sonora (sempre pronta a tornare, con voci e sfumature diverse) del film.

La canzone, non a caso, è scritta da Pupi Avati, che non ha mai abbandonato l’anima da musicista e qui ha colto l’occasione per farla ardere nel fuoco nostalgico e struggente del suo alter ego cinematografico. Trasformato in musica con l’apporto di Sergio Cammariere, il testo di Pupi è il perno fondante attorno al quale ruota l’intera giostra narrativa ed emozionale della storia.

Tutti noi, vuole dirci l’autore bolognese (che mai come in quest’opera approccia in maniera empatica, quasi simbiotica con il pubblico in sala), abbiamo sogni non realizzati. O meglio, i sogni di tutti noi volano sempre e inevitabilmente più lontano di ciò che la vita è in grado di offrirci. Tutti noi, in qualche modo e per qualche importante ragione, abbiamo fallito.

Marzio/Pupi vorrebbe solo tornare a quel chiosco di gelati dove andava da bambino aspettando che le cose accadessero e dove tutti i sogni sembravano ancora potersi realizzare, dove ha cominciato a crescere con il suo migliore amico, dove ha conosciuto la sua futura moglie rovesciandole addosso un frappè.

Pupi, con grande coraggio e per sua stessa ammissione, ha riversato molto di sé nel personaggio di Marzio, anche nelle dinamiche che riguardano il rapporto di quest’ultimo con Sandra. La convinzione -chiaramente idealizzata – di aver conquistato “la più bella di Bologna”, la gioia – inesprimibile a parole – di essere riuscito a sposarla, la gelosia – spinta ai limiti dell’inverosimile – che si palesa in ogni frangente: tutto ciò è accaduto anche nella storia con la sua vera moglie ed è impossibile non emozionarsi per la tenerezza e l’autenticità con le quali l’autore riesce a metterlo in scena (e mettersi a nudo).

Come in ogni suo lavoro, la scelta del casting è tanto inusuale da risultare piacevolmente spiazzante. Lodo Guenzi spicca su tutti, è il faro che illumina la scena con un’interpretazione delicata e struggente, piena di occhi lucidi, pianti, urla, sospiri e mugugni, eppure mai artefatta o sopra le righe; la somiglianza con il corrispondente adulto Gabriele Lavia è sconcertante, sul piano fisico e gestuale. Quest’ultimo, a differenza del frontman de Lo Stato Sociale, fa pesare maggiormente (in negativo) le proprie radici teatrali, ma questo non rende il personaggio meno credibile, anzi gli dona una nuova grazia che ben si sposa con il passare del tempo diegetico.

Anche l’esordiente Camilla Ciraolo riesce ad emozionare nei panni della giovane Sandra, una ragazza che non vuole avere figli, forse perché traumatizzata dal rapporto dilaniante e mai pacificato con i genitori (la madre le ha addirittura confessato di essere pentita di averla messa al mondo). Allo stesso tempo, però, sogna di fare l’indossatrice e di avere una casa con tutte le pareti blu. Allo stesso modo di Marzio, non smette mai realmente di sognare. D’altronde si sono conosciuti nello stesso chiosco, a Bologna, da bambini.

La sua versione adulta è interpretata dalla celebre Edwige Fenech, a cui Pupi Avati regala l’occasione di un ruolo unico – e forse anche per lei autobiografico – che si discosta completamente dalla maggior parte dei personaggi che le sono stati affidati in un’intera carriera. Pupi non si sbagliava: dopo sette anni di assenza dal grande schermo, l’attrice torna e brilla di una luce inedita, di una malinconia intensa e abbagliante. Il tocco ironico del maestro si fa sentire quando in sceneggiatura prevede per lei la scena di una doccia – spesso presente nei film in cui interpretava la femme fatale – che però adesso non funziona (più).

La Quattordicesima Domenica Del Tempo Ordinario è un film di e sui personaggi, gira intorno all’umanità e alle emozioni dei protagonisti e funziona proprio grazie a come essi vengono delineati e seguiti dalla macchina da presa, in tutta la loro debolezza ma anche in ogni squarcio di passione e vitalità.

Tutto, nella mia vita, comincia in un posto speciale di Bologna, fra Via Saragozza e l’inizio di Viale Audino dove, subito dopo la guerra, un certo Romoli gestiva un chiosco per gelati. Era un posto dove le cose che sognavo accadevano.

Il chiosco dove è cresciuto Marzio/Pupi adesso non c’è più, e infatti nel film è ricreato in post produzione, assumendo un’aura onirica e quasi irraggiungibile. Eppure, nonostante sia fisicamente sparito, Pupi l’ha portato con sé, gli ha donato una seconda vita all’interno del suo cinema. Il luogo dove tutti i sogni erano possibili ha chiuso, ma può tornare se quei sogni non si dimenticano, così come le pareti possono tornare a tingersi di blu.

“Ovunque nella stanza ci son sogni non realizzati”, certo, ma questo significa anche che nella stanza ci saranno sempre infiniti sogni da realizzare.

Conclusioni

Pupi Avati, dopo l’ambizioso Dante, torna nella sua Bologna con un film personale e struggente, in apparenza duro e sconsolato, ma in realtà romantico, sognante e sognato. Per realizzarlo, si mette in gioco mescolando abilmente realtà e finzione e si circonda di un cast straordinariamente in parte, inedito, frutto di intuizioni rischiose e guizzi geniali.

La Quattordicesima Domenica Del Tempo Ordinario non è una banale operazione nostalgia o un semplice e rassegnato elogio al fallimento, come ad un primo sguardo potrebbe sembrare, bensì un modo per ricordare e ricordarsi che i sogni non realizzati, se tenuti in vita, possono diventare un punto di partenza per assemblarli nuovamente creandone di nuovi.

Trailer

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Corrado Monina

Corrado Monina

Mi chiamo Corrado, mi occupo di sceneggiatura, regia e critica e lavoro per il Filmstudio di Roma come responsabile creativo. Amo il cinema, la musica e tutto ciò che ruota intorno alle arti visive e alla letteratura.

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