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Recensione “Il commissario Ricciardi”: un noir in cui l’amore è il motore di tutto

Nella cornice di una Napoli degli anni Trenta, il commissario Ricciardi è il protagonista dell’omonima serie tv, tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni (Einaudi). Un barone dal passato difficile che trova nel lavoro la sua unica ragione di vita. In un’epoca il cui il regime fascista la fa da padrone, il confine tra bene e male non è mai stato così netto ma – al tempo stesso – così ben ‘presidiato’ e celato.

Orfano di madre, Luigi Alfredo Ricciardi non riesce a legare facilmente con le persone, le donne in particolare. L’unica a far parte della sua vita è la governante Rosa Vaglio, che lo conosce sin da bambino e lo accudisce da quando sua madre è morta a causa di una malattia.

Indice

“Il commissario Ricciardi” – tutte le informazioni

Trama

locandina de il Commissario Ricciardi

Siamo nel 1931 e il commissario Riccardi è un professionista che ama il suo lavoro. Lo svolge scrupolosamente, senza preoccuparsi di indagare sulla Napoli bene, delle possibili conseguenze. Spesso, per questo, si scontra con il vicequestore Angelo Garzo, un uomo vicino al regime fascista, attento solo a compiacere le autorità dell’epoca.

La sua vocazione, scelta ma anche ‘subita’, non lascia spazio all’amore, se non da dietro una finestra. Nemmeno il carisma e la bellezza della vedova Livia Lucani (Serena Iansiti), conosciuta in seguito all’omicidio del tenore e marito Arnaldo Vezzi, riesce a fare breccia nel cuore ferito dell’integerrimo uomo di legge (o almeno così pare).

Attraverso alcune figure apparentemente secondarie, di ogni levatura sociale – prostitute, orfani, attori di teatro, lavoratori e nobili – viene raccontata un’epoca in cui l’ordine costituito è difficile da sradicare. Per fortuna ci sono personaggi come il protagonista e i suoi fedeli collaboratori, il brigadiere Raffaele Maione (Antonio Milo) e il medico legale Bruno Modo (Enrico Ianniello), che lottano nel quotidiano per far sì che le morti improvvise e cruente non vengano lasciate impunite. 

Crediti

  • Regia: Alessandro D’Alatri
  • Cast: Lino Guanciale, Antonio Milo, Enrico Ianniello, Serena Iansiti, Maria Vera Ratti, Marco Palvinetti, Nunzia Schiano, Mario Pirrello, Fabrizia Sacchi, Martin Gruber, Adriano Falivene, Veronica D’Elia, Peppe Servillo
  • Genere: giallo, drammatico, crime
  • Stagioni: 2
  • Puntate: 10
  • Durata: 100 minuti circa
  • Produzione: Italia, 2021
  • Distribuzione: Rai
  • Data d’uscita: 25 gennaio 2021

La recensione

“Il commissario Ricciardi”, quando un dono si trasforma in una maledizione (e viceversa)

Il protagonista de “Il commissario Ricciardi” è uno di quelli di cui ci si innamora dopo pochi minuti. Qualsiasi sia il legame ideale con il telespettatore (madre, padre, sorella, fratello, amico/a, spasimante), si sviluppa subito un’empatia con il barone all’apparenza chiuso e burbero, con un unico obiettivo nella vita: lavorare.

Nel corso delle puntate si comprende appieno la ragione per cui ci si sente legati al protagonista che non si risparmia e fa di tutto per risolvere i casi di omicidio che preoccupano gli abitanti di Napoli. Immediatamente si intuisce la sua ‘marcia in più’: i fantasmi di chi muore violentemente gli appaiono e gli rivelano un enigma da risolvere. Un dono, un potere che rende le indagini più semplici, saremmo portati a pensare, ma non la pensa così Luigi Alfredo Ricciardi.

Si tratta di una capacità ereditata dall’amata e defunta madre che non sempre viene apprezzata. La carica emotiva necessaria per sopportarla e il dolore che provoca il contatto così diretto con chi soffre, infatti, alle volte sono davvero difficili da gestire. Tanto da desiderare di potersene liberare, di poter lasciare una vita troppo dura da vivere da solo, ma impossibile da condividere con qualcun altro per paura di una delusione.

Le apparizioni, tecnicamente, forse appaiono troppo marcate e perdono quella plausibile componente di veridicità (per chi pensa che ci sia un legame con il mondo dei defunti) e di mistero a cui i partenopei sono portati a credere per tradizione. La prova attoriale di Lino Guanciale e dei suoi colleghi, però, sopperisce in parte a questo eccesso di effetti sonori e visivi. Il dono del protagonista fa nascere nel telespettatore la speranza che ci sia davvero una vita ultraterrena e che qualcuno possa salvare le anime delle vittime.

I rapporti di Luigi Alfredo Ricciardi

In giornate scandite dalla dedizione verso il lavoro, che non sarebbe peraltro necessaria visti i possedimenti di famigia, fanno capolino i rapporti umani. Quelli sicuramente più genuini e spontanei, con il medico legale Bruno Modo (antifascista e fiero di esserlo, che per questo rischierà anche l’esilio) e il brigadiere Raffaele Maione (onesto poliziotto, padre di famiglia che ha perso un figlio a causa di una passione da lui ereditata). Sono loro due, infatti, a riuscire a entrare nelle pieghe dell’animo ferito e tormentato del commissario, ma non gli unici.

Anche se per lei è sicuramente più difficile, un’altra persona che riesce a toccare le sue corde emotive è la giovane ed elegante vicina di casa, Enrica Colombo (Maria Vera Ratti). Il loro è un amore che nasce piano, piano. Fatto di sguardi e attese, di appuntamenti mancati e di sorrisi che rimettono tutto in ballo. È un amore fra due anime affini, ma anche molto diverse fra loro. Un legame profondo e prezioso, come quelli di un tempo, che resistono all’attesa.

Ma è anche un rapporto che rischia di essere minato dal passato sofferto di Luigi Alfredo e dall’insistenza di Livia Lucani (Serena Iansiti), un’ex cantante lirica, rimasta vedova, che si innamora del commissario Ricciardi e che non accetta un no come risposta.

Tuttavia il legame più intenso – a prima vista marginale, ma la reale spiegazione dei timori relazionali del protagonista – è quello con la madre. Una donna gravemente malata, che scompare troppo presto e lascia il figlio con un unico, preziosissimo punto di riferimento femminile. Un legame materno, e solo per questo indissolubile, ma anche trascendente, dovuto al dono che entrambi hanno ereditato e che probabilmente sarebbe stato accettato se ci fosse stata la guida materna in una fase delicata come l’adolescenza.

La profondità d’animo dietro un animo riservato

Dietro la durezza di un’espressione sempre seria e che prova in tutti i modi a non tradire la benché minima emozione, si cela una grande empatia verso il prossimo e il disperato desiderio di amare.

Il commissario Ricciardi ha un senso della giustizia profondo, ma non una cieca applicazione della legge. Per questo è un vero antifascista, anche se non lo proclama come il suo fedele amico Modo. Una capacità di discernimento, la sua, che lo rende profondamente umano. Luigi Alfredo ha paura di soffrire: è questa la ragione che lo frena sul piano sentimentale, gli serve solo qualcuno che gli faccia credere che essere felici è possibile.

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