Eco Del Cinema

Reality – Recensione

Essere e apparire, in una storia quasi fiabesca, tra realtà e fantasia: è questo il fulcro di “Reality”, ultima fatica di Matteo Garrone dopo il successo di “Gomorra”

Regia: Matteo Garrone – Cast: Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone, Graziella Marina, Nello Iorio, Nunzia Schiano, Rosaria D’Urso, Claudia Gerini, Giuseppina Cervizzi, Raffaele Ferrante, Paola Minaccioni, Ciro Petrone, Salvatore Misticone, Vincenzo Riccio, Martina Graziuso, Alessandra Scognamillo – Genere: Drammatico, colore, 115 minuti – Produzione: Italia, 2012 – Distribuzione: 01 Distribution – Data di uscita: 28 settembre 2012.

realityCon “Reality” Matteo Garrone costruisce una storia interessante sul desiderio di apparire che può sfociare in patologia, e sia chiaro, non c’è niente di personale contro il ‘Grande Fratello’ o gli altri reality show che appassionano tanto molti, piuttosto si tratta di un’analisi umana ed emotiva proprio del pubblico. Un pubblico spesso ammaliato dal drastico cambiamento di vita che ha l’opportunità di avere non solo chi vince un reality, ma anche chi solamente per qualche settimana presenzia ad uno di questi show.

In una società che ci ha abituati ad un consumismo sfrenato, facendoci credere che con una rata ci possiamo permettere qualsiasi lusso, la possibilità di apparire in tv è per molti una vera e propria illusione, attraverso la quale si spera di risolvere i problemi di un’intera vita, e perché no, di un’intera famiglia.

Come quella di Luciano, il nostro protagonista, che vive in un palazzo diroccato, dalla storia antica, testimone concreto non solo dello stato di abbandono di molti quartieri (e non solo a Napoli, dov’è ambientata la vicenda) ma anche del decadimento socio-morale del nostro paese.

La sua famiglia sta tutta là, e sono proprio loro a spingerlo, data la sua innata simpatia, a partecipare ai provini per il “Grande Fratello” (di cui si sono potuti utilizzare logo e marchio, grazie alla disponibilità della Endemol, che non ha ritenuto il film lesivo del prodotto), alla ricerca quasi di una visibilità collettiva.

Ma l’approccio con questo mondo idealizzato crea non pochi problemi a Luciano, che piano piano modifica il suo rapporto con la realtà circostante, passando dalla ricerca di ‘gloria’, seppur effimera, attraverso la quale dimostrare di esistere, ad un ripiegamento esistenziale, che lo allontana dalla vecchia quotidianità.

Il film, girato in sequenza, come il precedente “Gomorra”, ha un evolversi carico di pathos, che incuriosisce lo spettatore, quasi si trattasse di un thriller.

Il racconto ha un ordito narrativo di primo livello, grazie a una sceneggiatura a più mani (Chiti, Gaudioso, Garrone e Braucci) ben riuscita e ad una recitazione squisita da parte di tutto il cast, che dà spessore ad una pellicola per sua natura corale.

Eccellente la fotografia di Marco Onorato, i cui chiaro-scuri seguono l’alternarsi di ironia e malessere di una vicenda, peraltro tratta da una storia realmente accaduta: le scene che vi appariranno più surreali sono quelle che rispecchiano maggiormente la realtà degli accadimenti.

Aniello Arena (recluso a Volterra, dove dal 2001 collabora con la nota ‘Compagnia della Fortezza’ di Armando Punzo), al suo esordio al cinema, grazie al permesso dei giudici, si dimostra bravissimo, il ruolo di Luciano gli è stato cucito addosso.

Bel duetto quello di Arena-Luciano col bravo Nando Paone, che presta le proprie fattezze al cugino Michele, col quale Luciano spesso si confronta. Tra i due c’è un divertente, e allo stesso tempo inquietante, scambio di battute, dove Luciano parla dell’occhio che ci osserva, e Michele, molto religioso, lo intende come lo sguardo di Dio.

Garrone mostra una completezza creativa che lo pone ai vertici della cinematografia internazionale, e ha il merito di essere rimasto fedele alla sua originaria idea di fare un cinema che avvicini il pubblico al reale, grazie alla mediazione della macchina da presa, senza mai strizzare l’occhio alle platee, che piuttosto cerca di scuotere dal torpore culturale in cui ‘chi muove i fili’ ci vuole relegare.

Deliziosi i due piani sequenza dall’alto che aprono e chiudono la pellicola, come a ingabbiare il tutto in una sorta di contenitore fiabesco.

Maria Grazia Bosu

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