Eco Del Cinema

Racconti da Stoccolma – Recensione

Rompere il senso comune e scegliere di essere liberi da oppressioni e violenze: ecco il tema centrale della pellicola del promettente Anders Nilsson

(När mörkret faller) Regia: Anders Nilsson – Cast: Oldoz Javidi, Lia Boysen, Reuben Sallmander, Per Graffman, Bibi Andersson, Bahar Pars, Mina Azarian, Cesar Sarachu, Peter Engman, Annika Hallin, Nisti Stêrk – Genere: Drammatico, colore, 133 minuti – Produzione: Germania, Svezia, 2006 – Distribuzione: Teodora Film – Data di uscita: 30 aprile 2008.

raccontidastoccolmaTre vicende parallele e tre storie legate da un dramma comune: in una Stoccolma che si mostra aperta e tollerante solo in apparenza, la violenza si nasconde dietro il volto delle persone amate. Non appare per le strade grigie e fredde, ma tra le mura domestiche. Carina è una giornalista televisiva di successo, costantemente picchiata dal marito che le invidia la carriera che lui stesso vorrebbe aver percorso.

Leyla ha origini mediorientali e vorrebbe poter scegliere liberamente chi amare, ma la famiglia tradizionalista le impedisce di ribellarsi al codice religioso rigidissimo. Aram è testimone di un pestaggio e vorrebbe denunciare l’accaduto, ma è sottoposto a forti pressioni e non sa che fare per evitare la chiusura del suo locale.

Costretti a vivere nella paura, i tre scelgono di ribellarsi e rompere il silenzio, conquistando la speranza di un nuovo futuro. Anders Nilsson, considerato una delle grandi promesse del cinema scandinavo (ha solo 30 anni), s’ispira ad eventi realmente accaduti e a testimonianze raccolte personalmente per affrontare un tema scottante come quello del “senso comune” e del “corretto andamento delle cose”: il quieto vivere della nostra quotidianità è sempre dettato da principi buoni, ma spesso si cela dietro una triste realtà d’automatismi dei benpensanti che c’impedisce di essere realmente felici.

È con rabbia e rancore che Nilsson descrive le sue storie, osservandole nei minimi particolari, fin quasi a scadere nel voyeurismo, per farne percepire allo spettatore il terribile senso sino all’ultima stilla. La telecamera è a tratti nervosa, a tratti lenta ed inesorabile e va a tracciare un contorno non cinico ma anzi partecipato della verità del mondo contemporaneo, denunciando al contempo la violenza sui più deboli, fisicamente e mentalmente.

Gli attori, ammaliati dal copione, si muovono sicuri sul set, racchiudendo dentro di sé le angosce dei personaggi che tanto bene descrivono ed interiorizzano nelle espressioni e nei gesti: un’alchimia di notevole effetto e d’impatto diretto, come un pugno dritto allo stomaco, che ha ben valso al regista il Premio Amnesty International a Berlino e che, incomprensibilmente, la censura italiana vuole ridurre al silenzio.

Claudia Resta

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