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Philomena – Recensione

Tratto da una storia vera, “Philomena” di Stephen Frears commuove e diverte, sfruttando le straordinarie doti di Judi Dench

Regia: Stephen Frears – Cast: Judi Dench, Steve Coogan, Sophie Kennedy Clark, Charlie Murphy, Neve Gachev, Simone Lahbib, Ruth McCabe, Charles Edwards, Wunmi Mosaku, Charlotte Rickard, Xavier Atkins, Alan Davis, Stuart Matthews, Amy McAllister, Sean Mahon, Paris Arrowsmith, Graham Curry, Hannah Blamires, Nichola Fynn, Eddie Ruben – Genere: Drammatico, colore, 94 minuti – Produzione: Gran Bretagna, 2014 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: 19 dicembre 2014.

philomenaLa triste storia di Philomena Lee, una donna irlandese rimasta incinta da adolescente, nel 1952, approda sul grande schermo, dopo aver avuto la fortuna di diventare un libro, “The Lost Child of Philomena Lee” del giornalista e scrittore Martin Sixsmith, cui la pellicola di Stephen Frears si ispira. Il regista torna al successo dopo il portentoso “The Queen – La regina” del 2006, supportato anche stavolta da un valida sceneggiatura (Premio per la Miglior Sceneggiatura a Venezia 2013) scritta a quattro mani da Steve Coogan, anche interprete e produttore, e Jeff Pope.

Lo spunto principale di “Philomena” viene proprio dal libro e dal rapporto speciale venutosi a creare in passato tra Martin Sixsmith e Philomena Lee, interpretati magistralmente nel film da Steve Coogan e Judi Dench.
I due si incontrano quando ormai la donna è anziana, in pensione, ma è ancora scottata da un passato difficile: quando era ancora una ragazzina, Philomena rimase incinta, i genitori la abbandonarono nel convento di Roscrea e lì partorì suo figlio Anthony. Ma il dramma fu che le suore dell’istituto diedero in adozione il bambino ad una coppia americana e la giovane donna non riuscì più a ritrovarlo. Il dubbio che Anthony potesse aver avuto una vita triste o solitaria non abbandonò mai la madre che, grazie all’incontro con Martin Sixsmith, si mise alla ricerca del figlio, viaggiando tra l’Irlanda e gli Stati Uniti.
L’aspetto vincente del film di Stephen Frears risiede nell’affiatamento dei due protagonisti, molto diversi tra loro, ma in grado di convergere e di imparare l’uno dall’altro in vista di un obiettivo comune così importante. Martin, un intellettuale cinico alla ricerca di uno scopo dopo il licenziamento, combatte con il suo convinto ateismo e la sua morale ‘moderna’ la semplicità di una donna vissuta tra il timore di Dio e una generosità genuina, temprata dalla fede. Philomena incarna un po’ i lati positivi e negativi del cattolicesimo: la sua purezza sconfina nell’ingenuità e nell’ignoranza, ma allo stesso tempo sono propri i valori cristiani a permetterle di interpretare la realtà senza sovrastrutture sociali, al contrario di Martin. La debolezza della donna costituisce anche la sua forza, ciò che le permette di sopravvivere a un dolore così grande come quello della perdita di un figlio.
La vivida luce che un personaggio come Philomena emana, oscura un aspetto della Chiesa cattolica spesso insabbiato dal tempo, che questa storia rappresenta a pieno: in nome della fede, furono compiuti crudeli delitti, giustificati sulla base di un credo intransigente e inflessibile, atto a mortificare più che a salvare l’uomo dal peccato.
L’attaccamento della protagonista ai suoi valori, nonostante la contraddizione derivante dalla sua esperienza, è commovente e si scontra con la moralità più dura di Martin. Per quanto il giornalista la porti con sé in America e le faccia conoscere un mondo nuovo, ricco di possibilità, è la donna a prevalere e a plasmare il cuore del suo compagno di viaggio. Il divario tra i due riflette anche un po’ la diversità culturale tra l’Irlanda e gli Stati Uniti, tra un modo di vivere più antico e uno più moderno, tra una mentalità plasmabile e una già plasmata dalle opportunità.
I dialoghi tra Philomena e Martin trascinano lo spettatore al centro della storia, grazie a una sceneggiatura arguta, al confine tra un umorismo tipicamente inglese e il dramma. Il personaggio di Steve Coogan in particolare conferisce un tocco ironico leggero e piacevole alla vicenda. Anche la fotografia riesce a dare qualcosa in più alla pellicola, optando per immagini dai colori sempre molto vividi, che si sommano ai frequenti primi piani di Philomena, intensi e trascinanti: il volto di Judi Dench solcato dalle rughe, gli occhi velati dalle lacrime, conferiscono al personaggio una forza impressionante.
Anche la scelta di ricorrere a flashback, sotto forma di filmati di repertorio, che raccontino la vita di Anthony risulta vincente, in quanto contribuisce a rendere concreta la presenza del personaggio del figlio scomparso, come se accompagnasse la madre nel viaggio e la rassicurasse sul fatto di non averla dimenticata.
Dopo aver sapientemente diretto Helen Mirren, Stephen Frears si dimostra ancora una volta in grado di lavorare con le grandi star, puntando stavolta sul talento naturale di Judi Dench, che domina la scena con intelligenza e sensibilità, senza lasciarsi intimorire dall’età avanzata, anzi facendosi forte di essa.
Irene Armaro

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