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Oblio – Recensione

Buone potenzialità per il primo lungometraggio horror di tre giovani romani, con ancora molta esperienza da fare

Regia: Simone Miccinilli, Alex Johannes, Flavio Bulgarelli – Cast: Flavio Bulgarelli, Alex Johannes, Daniele Solazzi, Maria Teresa Giorgini, Veronica Maria Genovese, Simone Miccinilli – Genere: Thriller, Horror, colore, 105 minuti – Produzione: Italia, 2012 – Distribuzione: Mitch&Co Production – Data di uscita: 23 ottobre 2012.

oblio

Il giovane Michele subisce drasticamente la morte improvvisa del fratello, causata da un incidente stradale. Michele è preso da forti sensi di colpa perché alla guida dell’auto c’era lui, che, a differenza del fratello, è rimasto completamente incolume. Il dramma del lutto porta alla luce un passato già tormentato del ragazzo.

Un susseguirsi di allucinazioni prende sempre più il sopravvento provocando in Michele, e nello spettatore, una sovrapposizione tra la realtà e il mondo onirico e delirante del protagonista. La ricerca disperata del giovane di mantenere la lucidità e il contatto con il mondo reale sembra perdersi in un altro mondo, che lo condurrà a vivere un’esperienza fuori dal normale.

“Oblio” è il primo lungometraggio no-budget per tre ragazzi romani che, spinti dalla passione per il cinema, si improvvisano sceneggiatori, registi, attori e compositori di colonna sonora.

La scelta del genere thriller/horror per tutta la prima parte del film sembra non palesarsi, ma anzi nascondersi dietro contenuti drammatici, espressi dalle lunghe sequenze di angoscia del protagonista Michele, sconvolto dal lutto del fratello.

Molto lentamente emergono contenuti orrorifici nelle allucinazioni – anch’esse lente – del giovane, che evidenziano chiare citazioni di molti classici film horror: visioni di bambole rotte, presenze misteriose sotto le lenzuola, personaggi indefiniti che si aggirano per le case, schizzi di sangue su teli bianchi, mani che spuntano su porte trasparenti, donne dai lunghi capelli neri in veste bianca.

Tutta la prima parte è costituita da pochi dialoghi, che causano nello spettatore una sorta di noia e attesa di un qualcos’altro di più convincente, oltre a un assemblaggio di visioni poco originali.

Alcune transizioni delle inquadrature sono realizzate con stacchi seguiti da nero troppo lungo, causando un’attesa eccessiva nello spettatore per scene che contenutisticamente non lo richiederebbero; così come l’uso di tempi lunghi per azioni o inquadrature impediscono alla pellicola di scorrere in modo fluido.

Anche la decisione, rischiosa, di focalizzare tutta la trama su un solo personaggio (sicuramente dovuta alla necessità di attenersi ai costi bassi) ha per effetto un ulteriore rallentamento della dinamicità dell’opera e impoverimento della sceneggiatura, che si sviluppa su radi dialoghi drammatici e questioni legate alla fede, messa in discussione dal protagonista.

La sceneggiatura, dopo oltre la metà della storia, diviene sempre più confusa per alcuni passaggi affrontati in modo poco convincente.

Alcuni aspetti tecnici del film, che pur essendo stato realizzato con poche conoscenze del mondo registico (a detta dei giovani autori), mostrano una buona messa in quadro, uno studiato raccordo tra un piano e l’altro delle inquadrature, che favoriscono un’adeguata continuità narrativa. Anche le scene di dialogo sono ben costruite su campi e controcampi, con giusti raccordi sullo sguardo e sull’azione tra un’inquadratura e l’altra.

Da notare anche alcune trovate ad effetto interessanti, come le inquadrature dall’alto della testa del protagonista o il momento in cui apre una porta e viene risucchiato da un immenso bagliore di luce che lo conduce in un altro mondo è ben realizzato, e ricorda un passaggio tra i due mondi alla “Stargate”.

Il low-budget avrà sicuramente influenzato la scelta di girare gran parte del film in interni, ma in questo modo notiamo che alcune scene principali perdono notevolmente il proprio effetto e significato.

In conclusione questo esordio non convince per una sceneggiatura e un livello di contenuti carenti e poco originali. La poca, o nulla, esperienza certamente avrà fatto la sua parte, ma anche chi è alla prime armi dovrebbe sapere che per un’opera prima, con un’idea non del tutto originale, la scelta di dedicare 105 minuti al girato, senza tentare di abbreviare i tempi con inquadrature e sequenze più corte e dinamiche, è veramente un azzardo e un rischio, che porta lo spettatore ad attendere un qualcosa di altro… che alla fine però non arriva.

Eliana Volpe

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