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Nine – Recensione

Il regista Rob Marshall tenta un’impresa impossibile: riportare “8 ½” di Fellini sugli schermi di oggi

Regia: Rob Marshall – Cast: Daniel Day-Lewis, Penélope Cruz, Marion Cotillard, Sophia Loren, Kate Hudson, Nicole Kidman, Stacy Ferguson, Judi Dench, Martina Stella, Elio Germano, Ricky Tognazzi, Giuseppe Cederna, Enzo Squillino Jr., Giuseppe Spitaleri – Genere: Musical, colore, 110 minuti – Produzione: USA, 2009 – Distribuzione: 01 Distribution – Data di uscita: 22 gennaio 2010.

Nine“Dimenticate Fellini e godetevi questo musical!”: ecco la frase che dovrebbe capeggiare all’inizio di “Nine”, il nuovo film di Rob Marshall. Del resto è davvero difficile, guardando l’opera, non aver in mente le immagini di “8 ½”, quando per mesi non lo si è paragonato ad altro. Rifare Fellini certamente non è facile. Rifare poi il film più intimo del regista di Rimini, appare quasi impossibile ed il risultato finale di “Nine” ne è la prova evidente.

Dopo averlo presentato come remake, e poi, correggendo il tiro, proposto come lavoro liberamente ispirato al musical di Broadway – tra l’altro mai riconosciuto dal regista de “La Dolce Vita” – Marshall non riesce nel suo intento mal velato, di omaggiare il cinema italiano e il suo più grande regista.

In molte parti la pellicola finisce per essere l’esatta copia del capolavoro felliniano, ma non è all’altezza, di quello che è considerato ancora oggi uno dei cinque film più belli nella storia del cinema. Detto ciò, si può cercare di salvare il salvabile. Marshall aveva tra le mani un cast invidiabile di attrici: Penélope Cruz, nel ruolo dell’amante capricciosa e un po’ stupida di Guido; Marion Cotillard, splendida moglie che soffre delle continue bugie raccontate del marito; Sophia Loren, madre defunta e sempre amata; Nicole Kidman, musa ispiratrice; Stacy “Fergie” Ferguson, prostituta da 4 soldi che istruisce, ballando sulle sponde del mare (come in “8 ½”), ai piaceri della vita il piccolo Guido ed infine Judi Dench, sarta e confidente del regista. Tutte comunque un po’ sotto tono: anche perché le si dovrebbe mettere a confronto con le dive di Fellini.

Ci sono solo due momenti che si possono considerare realmente musical in tutto il lungometraggio: la prestazione di un’ispirata Judie Dench, persa nelle sue “Folies Bergère” e l’ottima prova della “debuttante” Fergie, che esalta la supremazia sessuale del maschio italico (“Be italian”).

La narrazione procede su due piani: quello della realtà e quello dell’immaginazione. Nel primo c’è un regista (Daniel Day-Lewis) che deve realizzare un film e ha esaurito le idee, nel secondo ci sono tutti i suoi sogni: il rapporto con le sue donne, le sue ossessioni, i suoi desideri, la sua lussuria, la sua passione, la sua arte, la sua voglia di esprimersi ancora, che assumono la forma di canzoni.

Guido è, prima di tutto, uomo che è rimasto bambino, che gioca a vivere, che non riesce a smettere di recitare la parte del regista anche nella vita. Plauso a Marshall, che si conferma uno dei più grandi registi di musical in attività. Molto piacevole il contrasto tra i colori luminosi ed il bianco e nero dei ricordi e le meravigliose coreografie durante le canzoni, seppure a un livello molto inferiore rispetto a “Chicago”. Purtroppo nel film l’immagine degli italiani è il risultato dei soliti stereotipi che ci accompagnano da sempre: Italia? Spaghetti e Mandolini! E a tutto ciò si aggiunge anche un’altra nota d’amarezza: perché sono dovuti venire gli americani a rifare la nostra “Dolce Vita”? Con quel pizzico d’orgoglio che ci rimane, potremmo dire, parafrasando Quintiliano, Fellini toto nostro est!

Davide Monastra

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