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Nient’altro che noi – Recensione

Il problema del bullismo affrontato senza scadere in una violenza cruda ed esibita, con lo scopo di sensibilizzare il pubblico più giovane

Regia: Angelo Antonucci – Cast: Annica Rodolico, Andrea Lucente, Gabriele Merlonghi, Daniel Bondì, Martina Menichini, Philippe Leroy, Francesca Rettondini, Antonella Ponziani, Claudio Batosso, Tonino Tosto, Cristiano Piscitelli, Aurin Proietti, Ivan Bacchi, Susy Sergiacomo, Giancarlo Del Monte – Genere: Drammatico, colore, 90 minuti – Produzione: Italia, 2008 – Distribuzione: Elite Group International – Data di uscita: 17 aprile 2009.

nientaltrochenoi“Nient’altro che noi” è ambientato in un liceo romano, fra studenti dell’ultimo anno che iniziano a fare i conti con l’avvicinarsi dell’esame di maturità e soprattutto con il passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Attraverso le parole di Sara (Anna Rodolico) che scrive sul suo blog, si ripercorre in un flashback l’anno scolastico dei quattro ragazzi, Sara, Elisa, Federico e Marco, che trascorrono insieme momenti intensi e altri spensierati, gioie, progetti, aspirazioni, dolori, sconfitte e pericoli.

Marco (Andrea Lucente) viene preso di mira da Miki (Gabriele Melonghi), perché studente modello, simpatico ai compagni ma soprattutto perché piace alla ragazza che lui vorrebbe per sé. L’anno scolastico inizia e Marco che si è appena trasferito, arriva nella nuova scuola un po’ spaesato, ma fa subito amicizia con Federico (Daniel Bondì), farfallone, trascinatore del gruppo, quello con la battuta sempre pronta per far ridere gli amici e spezzare le tensioni, e che gli sarà accanto durante i difficili momenti delle prepotenze di Miki.

Marco è studioso, riflessivo e in cerca di “equilibrio” fisico, ma soprattutto psicologico e impiega tutto se stesso per superare la propria paura, trovando nella musica sostegno e distrazione dai problemi quotidiani. Determinante nella sua vita il maestro di violino (Philippe Leroy), con cui riesce ad aprirsi e a confidarsi e in cui trova saggi consigli e il sostegno che a casa gli manca.

Miki vive invece una difficile situazione famigliare: i genitori litigano di continuo incolpandosi a vicenda per i disastri che lui combina, mentre il padre si rifugia nella cocaina, contribuendo ancora di più ad aggravare il rapporto con il figlio. Così il giovane scarica la sua infelicità sui compagni, terrorizzandoli in ogni occasione. Tenterà di violentare Elisa, sotto gli occhi disperati e impotenti di Marco, mentre un altro compagno è intento a filmare la scena, ma stavolta l’unione dei compagni eviterà il peggio.

Questo evento è inevitabilmente la scena simbolo del film: l’unione del gruppo per contrastare e combattere le angherie dei prepotenti. Dopo una prima mezz’ora in cui lentamente si descrivono i primi giorni di scuola di Marco e dei compagni e si accenna, solo, timidamente al problema del bullismo, il film inizia a decollare quando le prepotenze di Miki ai danni di Marco si fanno più aggressive e i giovani attori si sciolgono, entrando finalmente nei loro rispettivi ruoli.

Particolarmente intensa la scena in cui Marco si sfoga con il maestro di musica che (interpretato magistralmente da Philippe Leroy) sembra l’unico a capire il malessere del ragazzo. Il forte disagio fino a qual momento taciuto, finalmente viene fuori, carico di disperazione e di frustrazione. Il messaggio trasmesso dal maestro è sottile e delicato ma al contempo arriva chiaro e forte, l’arte, la musica può essere la via di fuga da una realtà spesso opprimente e problematica, valvola di sfogo ma anche luogo di pace e benessere.

Miki il bullo, è senza dubbio prepotente e violento, tutti si aspettano da lui solo guai e sembra quasi che con i suoi comportamenti voglia accontentarli, e punirli nello stesso tempo, per non capire veramente il suo malessere. In qualche scena manifesta segnali di ravvedimento che però, fatalmente, si trasformano in un’illusione nella scena successiva in cui dimostra che non ha intenzione di cambiare affatto. Il personaggio del bullo, non esce stigmatizzato come ci si aspetterebbe dopo i continui fatti di cronaca che descrivono senza indugi i reati di cui sono capaci, a causa dei toni pacati mantenuti nel film, che lo rendono sostenibile anche da un pubblico di giovanissimi e non troppo drammatico.

Il fatto di essere meno “crudo“ di altri film che hanno trattato lo stesso tema o temi analoghi, richiama lo scopo del regista di diffondere il dibattito e la riflessione a partire da giovanissimi studenti, senza per questo necessariamente turbarli in modo eccessivo. Gli interpreti principali, giovanissimi e alcuni alla prima esperienza, hanno girato scene, in certi casi po’ scontate, ma nel complesso sono riusciti a conferire alla pellicola il necessario realismo, vicino il più possibile alla normale quotidianità dei liceali che stavano rappresentando e centrando, così facendo, il loro mondo.

Elisa Donini

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