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Napoli 24 – Recensione

Tre minuti per uno sguardo da e su Napoli: il punto di partenza per l’opera plurale di ventiquattro autori, compreso Paolo Sorrentino. Presentato la prima volta al TFF del 2010, esce ora nelle sale a colpi di tamburo “Napoli 24”. Viaggio caotico e creativo in una città o dovremmo dire in un paese alla ricerca di un’identità

Regia: Ugo Capolupo, Giovanni Cioni, Bruno Oliviero, Paolo Sorrentino, Mario Martone, Gianluca Iodice, Diego Liguori, Roberta Serretiello, Luca Martusciello, Pietro Marcello, Nicolangelo Gelormini, Guido Lombardi, Mariano Lamberti, Andrei Longo, Stefano Martone, Luigi Carrino, Fabio Mollo, Mario Spada, Andrea Canova, Lorenzo Cioffi, Massimiliano Pacifico, Marcello Sannino, Francesca Cutolo, Federico Mazzi, Vincenzo Cavallo, Gianluca Loffredo, Daria D’Antonio – Genere: Documentario, colore, 75 minuti – Distribuzione: Cinecittà Luce – Data di uscita: 11 maggio 2012.

napoli24“Napoli si nutre di stratificazioni, qui niente ha una sola faccia, qui il concavo attecchisce nella stessa misura del convesso, in parole semplici, qui non c’è spazio per la geometria piana, solo le rotondità possono sussistere e avere valenza”. Sono queste le parole con cui Sorrentino parla in un suo libro e che vediamo farsi immagini nell’ultima opera dal titolo “Napoli 24”, condivisa per l’appunto con altri ventiquattro autori. L’idea che ci si fa di questa città, una volta accomodatisi dinanzi allo schermo, non è molto diversa da quella che già si ha, qualunque essa sia. Perchè lo impariamo dal libro e anche dal film, Napoli è tutto e molto di più. Infiniti schizzi che dalle tinte del magnifico degradano a quelle dell’atroce su di una tela, sempre la stessa, antica quanto Enea e infinita quanto i suoi significati.

C’è la nostalgia e l’orgoglio dei neoborbonici, la devozione a San Gennaro, ma anche a Suor Maria Francesca, c’è il matrimonio rom con sfilata passando per Scampia e le vedove, con o senza pelliccia, sempre pronte a gridare il disonore. E poi il ristorante Mennella, i rifiuti, gli spari tra i vicoli, la cocaina, il porto davanti al Vesuvio e pure la principessa. Quest’ultima è anziana e sola tra diamanti e Capodimonte, ma è una vera nobildonna che la colonna sonora stile dub, che Sorrentino sceglie per farla sfilare, rende irresistibile.

La verità è che parlare di questa città senza che la banalità si palesi tra gli astanti del discorso è pressoché impossibile. Ma questi ragazzi giovani e dunque meno al sicuro da questo rischio, sono comunque riusciti a lasciar fuori il già visto, oppure a farlo gironzolare ma senza fare danni. Ce l’hanno fatta, anche se solo per tre minuti (di più non sappiamo se avrebbero potuto), soprattutto quelli che hanno scelto una regia più contemporanea per rappresentare il bacio di due ragazzi in metropolitana o per finire nella locandina.

Un esperimento espressivo certamente da ripetere anche per altre città, senza troppe storie sui risultati, perché con o senza Sorrentino certe voci di giovani andrebbero sempre ascoltate. Ah, Borghezio e figli astenersi, non potrebbero capire.

Cecilia Sabelli

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