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Muffa – Recensione

La struggente opera prima di Ali Aydin racconta il coraggio di un padre alla ricerca del figlio “desaparecido”

(Küf) Regia: Ali Aydin – Cast: Ercan Kesal, Muhammet Uzuner, Tansu Bicer – Genere: Drammatico, colore, 94 minuti – Produzione: Turchia, Germania, 2012 – Distribuzione: Sacher – Data di uscita: 30 aprile 2013.

muffa-locandina-filmCamminare lungo i binari. Basri fa questo. È un guardiano delle ferrovie e ogni giorno controlla le strade ferrate dell’Anatolia percorrendo chilometri e chilometri. L’unico pensiero che lo accompagna è per il figlio, Seyfi, arrestato 18 anni fa a causa delle sue opinioni politiche e da allora scomparso.

Per 18 anni, ogni mese, Basri ha scritto due lettere, una al ministero degli interni e una alla Questura con la speranza di ritrovare il figlio. I contenuti di quelle missive producono solo innumerevoli interrogatori e torture che non bastano a placare l’ostinazione di un padre alla ricerca del figlio.

“Muffa” più che raccontare una storia descrive uno stato d’animo: la mancanza di una persona amata. La fatica di vivere, il lavoro svolto solo per inerzia, l’attesa e la speranza del ricongiungimento.

I tempi dilatati della pellicola ci restituiscono completamente la drammaticità della vicenda. Ayadyn sceglie dei lunghi piani sequenza, sottolinea i silenzi e parla allo spettatore attraverso le espressioni dei suoi personaggi.

Il fulcro della trama è Basrin, uomo coraggioso e ostinato ma allo stesso tempo fragile e profondamente solo. Sulla sua anima, con il tempo si è depositata la muffa. Una patina che lo logora e che testimonia la lunga assenza di pulsioni positive.

Gli occhi del bravo Erkan Kesal (Basrin) ci insegnano a comprendere la sua solitudine. Lontano dagli affetti, isolato sul lavoro e soprattutto solo nella lotta contro i potenti per l’ottenimento della verità sul figlio “desaparecido”.

Il regista turco, alla sua opera prima, confeziona una pellicola intensa che attraverso i dissidi interiori di un padre riporta alla luce le scorie di un regime repressivo radicato in Turchia negli anni 90.

Seppur privo di azione il film offre molto ad uno spettatore particolarmente sensibile all’analisi introspettiva dei personaggi. Struggente e toccante, il lavoro del promettente Aydyn, ci aiuta, e non è poco, a cogliere il senso dell’umana esistenza.

Riccardo Muzi

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