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Monster – Recensione

Charlize Theron nei panni di una crudele prostituta-serial killer, ruolo che le è valso un Premio Oscar come migliore attrice protagonista

Regia: Patty Jenkins – Cast: Charlize Theron, Christina Ricci, Bruce Dern, Scott Wilson, Pruitt Taylor Vince, Annie Corley – Genere: Drammatico, colore, 110 minuti – Produzione: USA, Germania, 2003 – Distribuzione: Nexo – Data di uscita: 30 aprile 2004.

monster“Monster”, film scritto e diretto dall’esordiente Patty Jenkins, parla della vera storia di Aileen Wuornos, una prostituta che uccise sette uomini e fu condannata in Florida poco prima della riuscita del film, il 9 ottobre 2002, fu considerata la prima serial killer donna della storia. La pellicola è un vero gioiello sotto più punti di vista: la sceneggiatura, affrontata anche grazie alle lettere che la Wuornos scriveva dalla prigione; la fotografia; la scelta di guidare il film on the road; e il cast, fondamentale per dare il giusto significato al racconto.

Charlize Theron a cui è stato dato, giustamente, il Premio Oscar come miglior attrice protagonista nel 2004, è davvero irriconoscibile. Ingrassata di ben quindici chili, appesantita da un trucco speciale (c’è voluta tutta la bravura dei truccatori per imbruttirla), pelle chiazzata e denti spropositati, trascurata e con un’andatura decisamente somigliante ad un maschio medio perennemente ubriaco, si cala nei panni di questa complicatissima e sofferente donna, che, stanca della vita e del marcio che ha intorno, si ritrova coinvolta sentimentalmente ad una ragazza (Christina Ricci), che in un certo senso sarà la sua condanna definitiva e il suo unico amore.

La bravura dell’attrice di questa pellicola è tutta nella sua interpretazione. Oltre al lavoro psicologico che la Theron ha dovuto affrontare, convivendo con una se stessa così diversa, studiando a fondo per ricreare la gestualità, lo sguardo e i particolari della vera Aileen, bisogna sottolineare la questione dell’introspezione. La carica emotiva e lo stato di vittima, che emergono silenziosamente e a tratti nella narrazione della vita di questa donna, sono espressi con grande mestiere, senza cadere in facili banalismi, né struggenti drammi.

La camera da ripresa si stringe intorno al personaggio con disarmante realismo, violenta e distaccata, nella maniera in cui si fa il cinema indipendente made in Usa. Come ogni volta in cui lo spettatore si trova di fronte a queste terribili storie, in cui il carnefice è anche vittima di se stesso e delle sue azioni, si sente chiamato ad analizzare la propria coscienza e decidere da che parte stare. Non sorprende però che questo film abbia ricevuto, oltre all’Oscar, anche un Golden Globe e l’Orso d’Oro a Berlino.

Sonia Serafini

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