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L’ombra del diavolo – Recensione

“L’ombra del diavolo”: un ottimo thriller che miscela sapientemente azione e sentimenti

(Devil’s Own) Regia: Alan J. Pakula – Cast: Brad Pitt, Harrison Ford, Treat Williams, David O’Hara, Natascha McElhone – Genere: Thriller, colore, 110 minuti – Produzione: USA, 1997 – Distribuzione: Columbia Tristar.

l-ombra-del-diavoloUn giovane affiliato all’IRA, accetta di andare negli Stati Uniti per comprare armi, dopo che gli inglesi gli hanno ucciso barbaramente il padre. Il ragazzo riceve ospitalità presso la famiglia di Tom, un onesto poliziotto di origine irlandese che, tenuto all’oscuro della vera identità di Frankie, gli si affeziona. Si innesca così una forte e bellissima amicizia, caratterizzata da un rapporto complicato e problematico.

Un bel film, che coniuga tutti gli elementi del genere rappresentato: un thriller d’azione colmo di sparatorie. Ma non è solo l’azione a distinguere la pellicola, i sentimenti, infatti, sono sapientemente celati e raffigurati dai protagonisti, la paura si mischia all’attrazione, alla tenerezza, all’amore e alla protezione. Il complicato rapporto padre-figlio che qui si manifesta fra due sconosciuti, è velato dal conflitto, il conflitto per la terra, per la rivolta, il conflitto dei sentimenti, del dolore e della perdita.

Pakula dirige un cast composto dall’accoppiata Pitt-Ford, il primo ancora molto giovane, ma che rende comunque una buona prova attoriale, del tipo “il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette” (citando De Gregori), il secondo all’apice della sua carriera, che dimostra la versatilità dell’ultimo degli Indiana Jones, contornati da forti personaggi femminili, ben tratteggiati e credibili.

La sceneggiatura è uno dei pochi nei che lascia un po’ a desiderare, risultando zuccherosa nel finale e scontata a tratti, seppur interessante e coinvolgente conferisce alla storia un’integrazione non definitiva. Il regista newyorkese di “Tutti gli uomini del Presidente” non sbaglia però sulla fotografia (che è stata curata da Gordon Willis), grazie alla quale coglie sapientemente l’essenza della sua città, una New York, la metropoli più inflazionata cinematograficamente parlando, con uno sguardo nuovo, ritraendone uno scorcio colpito da una luce sorpresa, giocando con la cinepresa.

Sonia Serafini

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