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Lo sguardo di Satana – Carrie – Recensione

Improponibile remake di un superclassico horror. Come partire prevenuti e accorgersi di aver avuto ragione

(Carrie) Regia: Kimberly Peirce – Cast: Chloe Moretz, Julianne Moore, Alex Russell, Ansel Elgort, Gabriella Wilde, Judy Greer, Portia Doubleday, Connor Price, Zoë Belkin, Cynthia Preston, Max Topplin, Samantha Weinstein, Skyler Wexler, Kim Roberts, Kyle Mac, Nykeem Provo, William MacDonald, Philip Nozuka, Karissa Strain, Chris Britton, Katie Strain, Mouna Traoré, Alana Randall, Travis Hedland, Julia Caudle – Genere: Horror, colore, 100 minuti – Produzione: USA, 2013 – Distribuzione: Warner Bros Italia – Data di uscita: 16 gennaio 2014.

losguardodisatanacarrieDi solito il remake di un film, in particolare un horror, cerca di intercettare due tipologie di spettatori: i più giovani o comunque chi non ha mai visto l’originale e i fan della prima versione che, nella maggioranza dei casi, si accostano con comprensibile prevenzione alla nuova, non vedendo l’ora di trovare difetti e discrepanze con l’originale.

Decisamente mi sono avvicinato alla proiezione sentendomi parte della seconda schiera, in quanto aficionado sia di Brian De Palma, regista della versione del 1976, che del genere.

Doverosa premessa: stiamo parlando, insieme con “Shining” di Kubrick, del più eclatante esempio di film dell’orrore d’autore, diretto da un riconosciuto Maestro del cinema, il che rendeva l’impresa ancora più ardua all’inesperta Kimberly Pierce.

Come da copione, dunque, sono uscito (s)confortato per quanto avevo (pre)visto, e con ben chiare le principali differenze, in negativo, che rendono quasi impietoso un confronto fra le due pellicole.

Partiamo dalla scelta della protagonista: Chloe Grace Moretz, una simil Miley Cyrus prima maniera, cerbiattina imbronciata lontana anni luce dall’ossuta Sissy Spacek, incapace di trasmettere quel mix di innocenza-timidezza-furore vendicativo necessario per passare, nella considerazione emotiva dello spettatore, da vittima e carnefice senza pietà.

Capitolo paranormale: come tutti sapranno, Carrie White, figlia indesiderata di un’invasata psicotica religiosa (a proposito, nonostante Julienne Moore sia molto brava, l’espressione spiritata di Piper Laurie che scende le scale roteando il coltello rappresenta una delle immagini che hanno turbato indelebilmente la mia infanzia), ha il dono della telecinesi e ne abbiamo consapevolezza quasi da subito, ma la dirompente potenza di questo potere ci viene mostrata, tanto nell’originario libro di Stephen King quanto nel film di De Palma, solo nel redde rationem finale. In questa nuova versione, invece, Carrie fin dall’inizio spende e spande con disinvoltura quasi il suo superpotere (tra l’altro con uno sguaiato utilizzo della CGI), vanificando l’effetto sorpresa nel post ballo.

Per finire la più grande pecca: l’inspiegabile amputazione del colpo di scena finale nel cimitero, che nel film del ‘76 riusciva a far sobbalzare dalla poltrona anche dopo ripetute visioni, in favore di un pessimo effetto grafico sulla lapide di Carrie che stravolgendo l’intento onirico dell’originale sembrerebbe suggerire un possibile e quanto mai temibile sequel.

Vassili Casula

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