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Little Feet – Recensione

Alexandre Rockwell presenta nella sezione CineMaxxi del Festival del Film di Roma un tenero affresco sull’infanzia e i suoi vagabondaggi giocosi

Regia: Alexandre Rockwell – Cast: Rene Cuante-Bautista, Lana Rockwell, Nico Rockwell – Genere: Documentario, b/n, 60 minuti – Produzione: USA, 2013.

Little FeetLa sezione CineMaxxi del Festival Internazionale del Film di Roma 2013 presenta al suo interno tracce di cinema indipendente molto interessanti, tra cui la pellicola “Little Feet” del regista Alexandre Rockwell. Una produzione tutta ‘in famiglia’, quasi casereccia, che sa però giocare sapientemente con le immagini e con il mondo dell’infanzia, nella sua componente più fantasiosa e gioiosa.

Il regista dirige i suoi stessi figli, Lana e Nico, in un film incentrato sul mini universo di due fratelli, orfani di madre, trascurati dal padre, che partono insieme all’amico della porta accanto per un viaggio verso l’acqua, per ridare la libertà a Curly, l’unico pesce rosso sopravvissuto nella boccia che i fratelli tengono in casa.

Il film è vissuto attraverso lo sguardo innocente e disincantato dei due bambini, in particolare attraverso quello di Lana, spinta dalla necessità a badare a Nico e a comportarsi da persona grande. Nonostante alla base della loro storia ci sia una profonda tristezza, la gioia di vivere e l’inconsapevolezza della fanciullezza fungono da filtro verso il reale, deformandolo in un continuo gioco. La pellicola è tutta in bianco e nero, ma il mondo tratteggiato da Lana e Nico ispira la sensazione di una vita piena di colore.

Il viaggio che i tre buffi personaggi intraprendono, con solo un carrello come mezzo di trasporto e qualche maschera per giocare nei vicoli, è vissuto come epocale dai protagonisti, perché si allontanano dal nido alla ricerca della libertà, simboleggiata da quel pesce che troverà la propria casa nell’acqua. In realtà non fanno che svoltare l’angolo, salire qualche scalino e prendere un autobus, ma ai loro occhi questa esperienza ha il sapore dell’avventura. I piccoli si avvicinano con eccitazione al mondo adulto, reinterpretandolo a loro volta in chiave infantile e immaginifica.

La tenerezza della figura di Lana che si prende cura del fratello e lo rassicura parlandogli della madre è accentuata dall’esistenza di un legame vero tra i due piccoli protagonisti, che trasmettono un vero senso di gioia mentre ridono insieme. Lo sguardo del regista-padre non imbarazza gli attori, li invita bensì ad essere sé stessi.

Il fatto che la vicenda sia incentrata su una boccia di pesciolini rossi e che la morte di uno di loro sia il motore del viaggio dei protagonisti verso l’oceano va ricollegato al tema della morte della madre: Nico cerca e crede di vedere la madre defunta ovunque, specialmente nella boccia d’acqua di Curly; il binomio di acqua e morte non può prescindere però da quello di acqua e vita: la madre vive nell’acquario dei due bambini, che smettono di accontentarsi della semplice boccia e fuggono alla ricerca di un contatto con l’oceano, una grande madre che li accoglie e li avvolge. Per questo, una volta giunti sulla riva, la libertà di Curly non apparirà più come lo scopo principale del viaggio e il pesciolino verrà abbandonato al suo destino, mentre i due fratelli si immergeranno nel calore di mamma oceano.

Irene Armaro

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