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Little Bird – Recensione

  • Titolo originale: Pticka
  • Regia: Vladimir Beck
  • Cast: Pyotr Skvortsov, Margarita Tolstoganova, Matvey Ivanov, Aleksandra Rybakova, Timofey Shubin
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 90 minuti
  • Produzione: Russia, 2015

“Little Bird”: un film malriuscito, sotto ogni punto di vista

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Ci sono film e film, più o meno belli, più o meno accattivanti, più o meno riusciti, poi ci sono le pellicole come “Little Bird”, non inseribili in nessuna categoria, talmente fatte male da ritenere improprio inserirle in una qualsivoglia categoria, dove inevitabilmente verrebbero accostate a chi il cinema lo fa sul serio.

“Little Bird” è un film brutto, un contenitore vuoto in cui non c’è niente da salvare. Il regista dovrebbe capire che se non si ha niente da dire sarebbe meglio restare in silenzio, attendendo una qualsiasi idea che valga la pena comunicare al mondo.

Il cinema è arte, e pellicole come questa lo svuotano della sua autorevolezza, ne annichiliscono la potenza comunicativa, ne annientano la valenza estetica. “Little Bird” non ha un’idea da trasmettere, mal recitato, in sostanza è come se non fosse stato neppure girato veramente. In larghi tratti risulta un’accozzaglia di riprese, dove il regista sembra voler dire: ”Ehi, so usare il rallenty, e pure la telecamera controsole!”

Trama povera quella racchiusa in “Little Bird”, sviluppata in maniera disorganica

Cercando nella pellicola un significato, dapprima seguiamo all’interno del mondo chiuso di una colonia estiva l’innamoramento, da parte di due ragazzini, dei loro istruttori, per poi seguirne la delusione e rabbia, quando si rendono conto che i due oggetti del desiderio hanno sviluppato tra loro una liaison. Questa l’esile trama, che il regista sviluppa in maniera disorganica, mettendo in mostra una serie di virtuosismi fini a se stessi, in un alternarsi di immagini a pelo d’acqua, gorgoglii subacquei, riprese di pezzi di vetro, scene di magie, e il ripetersi continuo dell’ immagine di un aereo che vola sopra il teatro delle nostre vicende, forse metafora del tempo che scorre? Senza dimenticare gli inserti, tra immagini girate dal regista, di quelle che la sceneggiatura (?) vuole girate dai bambini ospiti della colonia: così, non bastasse il resto, ci buttiamo pure sul documentaristico.

Sicuramente il cineasta russo ha voluto condurre un esperimento nel voler ricreare atmosfere ispirate alla “nouvelle vague”, ma il risultato è deprimente: non basta la tecnica nel posizionamento ad altezza d’uomo della macchina da presa per i campi lunghi, i primi piani visti dal basso o, citazione Hitchcockiana, la scena di una stanza vista attraverso un barattolo di vetro pieno d’acqua.

Va bene sperimentare, ma non a discapito dello spettatore pagante.

Maria Grazia Bosu

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