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Life – Recensione

  • Regia: Anton Corbijn
  • Cast: Robert Pattinson, Dane DeHann, Ben Kingsley, Alessandra Mastronardi, Joel Edgerton
  • Genere: Biografico, colore, 111 minuti
  • Produzione: Canada, Germania, Australia, 2015
  • Distribuzione: Bim
  • Data di uscita: 8 ottobre 2015

“Life”, storia di un’amicizia tra un James Dean antidivo alle prime armi e il fotografo che lo ritrasse nei suoi scatti più celebri

Life-2015

Nell’inverno del 1955 un uomo, avvolto nel suo cappotto nero, attraversava una piovosa Times Square. Quell’uomo, con la sua inseparabile sigaretta, era James Dean, immortalato dalla macchina fotografica di Dannis Stock. Lo scatto che catturò questa immagine creò un’icona per il nostro immaginario collettivo e scaturì un’amicizia tra un promettente fotografo e l’astro ribelle di Hollywood.

“Life” fa luce su un incrocio tra due vite protese verso un maiuscolo salto di qualità. Il fotografo, avendo intravisto in Dean una futura star del cinema, ha puntato tutto sull’attore che, malgrado la propria ritrosia, sembra raggiungere l’affermazione definitiva quasi per forza d’inerzia, trascinato da un immenso e riconosciuto talento.

L’obiettivo di Stock, vendere le foto di un giovane e malinconico divo, è più complicato del previsto perché il divo in questione ancora non ha capito se vuole veramente incarnare quell’ideale, mito irragiungibile nel quale si trasformò poi James Dean.

L’affresco tratteggiato da Anton Corbijn non ricalca i tradizionali percorsi della narrazione biografica. Ritrae invece un crocevia esistenziale per poter comprendere le sfaccettature di due personaggi che il destino ha fatto incontrare prima dell’ondata di fama e popolarità.

Il patinato racconto di due vite destinate al successo

La nobiltà del regista però si rintraccia solo nell’intento. Corbijn cerca di infiltrarsi tra le pieghe dell’anima dei protagonisti, ricostruendo il dietro le quinte di alcune famose istantanee. La cura estetica che infonde alla propria opera appaga l’occhio ma non aiuta a cogliere i dettagli caratteriali né del divo in fieri, né del fotografo impegnato in un’affannosa ricerca del successo.

Difficile, se non impossibile, intercettare nella seppur bella intelaiatura uno spigolo, una sporgenza che rimanga impressa nella mente. Il direttore d’orchestra non concede nemmeno una piccola stonatura che renda almeno la rappresentazione più umana e inevitabilmente, su questa stancante piattezza, il racconto procede monotono.

Cedendo alle lusinghe di un racconto troppo patinato “Life” rischia di percorrere al contrario la strada intrapresa da James Dean e Dannis Stock precipitando lentamente nell’anonimato.

Riccardo Muzi

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