Eco Del Cinema

Layla M. (2016)

Recensione

Layla M.: lo sguardo triste dell’odio

Layla M.

“Layla M.”  è la storia di una giovane ragazza marocchina, nata ad Amsterdam e figlia di una famiglia islamica non estremista. La protagonista, Layla, si presenta da subito così: una giovane curiosa e ribelle che sceglie di coprire i capelli e parte del viso con l’iconico velo islamico, l’hijhāb (comunemente conosciuto come burqa).

Quella che sembrava una sana rivolta adolescenziale volta alla costruzione  della propria identità, si rivela ben presto un percorso diretto verso il fondamentalismo islamico. Il primo segnale dell’adesione di Layla a idee radicali è il passaggio dall’hijhāb al niqāb, il velo islamico che lascia scoperti solo gli occhi. La giovane donna si fa coinvolgere facilmente da un gruppo di sostenitori della jihad, divenendo presto una fedele e convinta adepta.

Dalla folla di aspiranti jihadisti in protesta si ode: “Siamo i soldati di Allah”.

É questo il grido dell’odio. Una frase ripetuta più e più volte che, fin da subito, assume i connotati di un feroce inno alla violenza e alla distruzione.  L’odio nutre l’odio e la violenza chiama violenza.

Layla si perde in una folla di fondamentalisti che colonizza i suoi pensieri e guida le sue azioni. La sua spontaneità è continuamente sotto il vaglio dei versi del Corano, parole prese alla lettera senza alcuna possibilità di interpretarle criticamente. La massa la ingloba in un unico pensiero, dispotico e depersonalizzante, che annienta, di cui lei è vittima ma anche inconsapevolmente complice.

La radicalizzazione di una non-esistenza

Nora El Koussour

“Layla M.” racconta la storia di chi finisce per isolarsi, sentendosi una straniera nella propria comunità.  Una giovane ragazza islamica coltiva l’illusione di essere al sicuro solo fra le braccia di un Profeta, incarnato tra i versi di un libro sacro, che si configura come l’unica ragione di vita. La fede diventa una vera e propria ossessione, camuffata da un rassicurante senso di appartenenza.

Potremo pensare a un credo, cosí inteso, come rifugio. Un rifugio della mente che conduce ad un alienazione dalla vita. Layla si sente sempre più un’outsider, fino a divenire clandestina di se stessa. La fede perseguita in questa maniera è totalizzante e una potente forza che annulla tutto, persino l’amore. Amore per se stessi, per il proprio compagno, per gli amici e per la famiglia vengono annientati da un ideale superiore fagocitante.

Si tratta di un ideale subdolo che si insinua in tutte le pieghe dell’esistenza della protagonista, una scelta fatta da lei stessa in nome di un Dio e della libertà di un popolo, una decisione che non solo le ruberà la libertà ma anche gli affetti.

Potremmo chiederci: cosa attrae Layla cosí tanto da condurla sulla via dell’estrema rinuncia? La promessa di essere al sicuro? L’aspettativa esaltante di essere tra “i giusti”, tra chi combatte per i propri ideali?

Cosa alimenta lo stato di convinzione della protagonista? Ognuno può riconoscere dentro di sé il sentimento di onnipotenza che si cela dietro la forza di rinunciare e sacrificarsi. Forse ognuno ha, anche solo per un attimo, scelto di mettersi nel ruolo di martire. Sentirsi potenti nella convinzione di possedere una qualità in più: sopportare, rinunciare, soffrire.

Ma qual è il prezzo da pagare in cambio di una fittizia rassicurazione e di una dose giornaliera di gloria?

Il godimento dell’autodistruzione

Layla

Un gruppo di persone lotta per affermare la propria fede che sente discriminata, e in qualche modo si batte per la libertà di espressione del proprio credo. Ma la libertà tanto agognata si converte subito in un’estrema devozione e privazione che di fatto esclude dalla stessa libertà personale. Siamo quindi di fronte ad un evidente paradosso.

Inoltre la violenta aggressività con cui si rincorre il proprio ideale, diretta verso i presunti oppositori, è devastante e diventa presto una questione di vita o di morte. La storia trasuda desiderio di distruggere e odio che permeano l’animo di quegli umani e sono emotivamente palpabili durante tutta la durata del film.

L’epilogo drammatico dell’estrema devozione all’ideologia islamica fondamentalista confluisce nell’autodistruzione totale. Ciò che colpisce o addirittura sconvolge è l’estatico piacere che si cela dietro l’eroico gesto. Alla fine, quel grumo di violenza deve esplodere, anzi farsi esplodere.

“Layla M.”, diretto da  Mijke de Jong, è una storia che coinvolge e, attraverso gli occhi di un’adolescente, racconta di una realtà particolarmente tragica. La scelta di una protagonista cosí giovane alleggerisce il tema ma allo stesso tempo è il dettaglio che contribuisce allo sgomento dello spettatore.

Giulia Cirenei

Trama

  • Titolo originale: Layla M.
  • Regia:  Mijke de Jong
  • Cast: Ilias Addab, Nora El Koussour, Hassan Akkouch, Yasemin Cetinkaya, Husam Chadat, Karl Ferlin, Sachli Gholamalizad, Mohammed Azaay, Steef Cuijpers
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 98 minuti
  • Produzione: Paesi Bassi, 2016
  • Distribuzione: Cinemien
  • Data di uscita: 17 novembre 2016

Layla M. poster

“Layla M.” è un dramma adolescenziale tutt’altro che leggero, diretto da Mijke de Jong. Girato tra Olanda, Belgio e Giordania, vede protagonista Nora El Koussour nei panni di Layla. 

Layla M.: la trama

Il film racconta la storia di un’adolescente marocchina, figlia di una famiglia islamica non estremista. Nel pieno della ribellione pre-adultità, la ragazza comincia a interessarsi alle ideologie dell’islam radicale, ma la curiosità di Layla non si esaurisce in accurate ricerche sul web. Infatti, la giovane donna aderisce a un’estrema convinzione che la condurrà ad un futuro incerto e drammatico.

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