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L’altra Heimat – Cronaca di un sogno – Recensione

In un passato lontano tra disincanto e speranza, Edgar Reitz va alle radici della sua “Heimat”

 (Die Andere Heimat – Chronik einer Sehnsucht) Regia: Edgar Reitz – Cast: Werner Herzog, Marita Breuer, Julia Prochnow, Konstantin Buchholz, Maximilian Scheidt – Genere: drammatico, colore, 230 minuti – Produzione: Germania, 2013 – Distribuzione: Nexo – Data di uscita: 31 marzo 2015.

l-altra-heimat-cronaca-di-un-sognoÈ in qualche modo un prequel, ma potrebbe anche vivere di vita propria “L’altra Heimat – Cronaca di un sogno” di Edgar Reitz, presentato al Festival di Venezia 2014.

Il regista ritorna alle radici della sua ‘patria’ raccontando la storia degli antenati di Hermann, Paul, Maria e di tutti gli altri protagonisti della grande saga di Heimat. Siamo nel 1842 nel villaggio immaginario di Shabbach a Hunsruck nella regione della Renania-Palatinato ed è il momento delle migrazioni. In tempi durissimi, il giovane Jacob è il sognatore della famiglia matriarcale Simon, alla continua scoperta nei libri di un altrove lontano, il Brasile. Lo chiamano ‘l’indiano’ ed è il preferito dei tre figli sopravvissuti agli otto partoriti di Margret sposata al rude fabbro Johann. Su tutti loro veglia la vecchia saggia nonna di poche parole ma sempre presente.

Il film, della durata di 230 minuti, molto minore degli altri episodi della saga, è una sorta di romanzo di scoperta del giovane protagonista. È lui che traghetta lo spettatore nella grande storia della Prussia, tra sogni, passioni e delusioni amorose. La prima parte della storia è all’insegna della luce e della speranza. I ragazzi corrono e si rincorrono nei campi e scoprono la forza della ribellione. L’altra patria è il Sud America, terra magica dove si parlano lingue strane ma è anche quella dove si sfida il barone tiranno. La seconda parte è quella della caduta delle illusioni. In un freddo inverno, la ragazza amata da Jacob va sposa a suo fratello tornato dalla guerra, pur senza amarlo e la prigione spegne le velleità rivoluzionarie della gioventù, mentre una cometa passa creando stupore tra i contadini nei campi.

Come i precedenti capitoli, “L’altra Heimat” è cinema monumentale, come se ne vede poco ultimamente. È un lungometraggio carico di simboli che spiccano anche visivamente quali unici elementi a colori nelle inquadrature in bianco e nero. Il tempo è lento come il passare inesorabile delle stagioni. Sui carri carichi di masserizie andranno via in tanti ma non Jacob, che anticipa l’Hermann inquieto e ribelle del nono e decimo capitolo, l’artista alla ricerca di altro. Eppure il giovane Jacob, pur restando, troverà la sua patria, in un qualche modo. In quest’ultimo capitolo finale della saga, il regista enfatizza la grande differenza tra il nostro tempo e il lontano 1840.

Come tutti coloro che sono messi alla prova dalle durezze quotidiane, i protagonisti non piangono quando qualcuno della famiglia muore o si ammala. Si va avanti. Ed è questo il messaggio che passa in uno spazio temporale sospeso. Tutto il film è girato in un vero villaggio dell’epoca ricostruito ad hoc dal regista e i costumi degli attori sono come i veri abiti del tempo ritrovati nelle vecchie case. Tutto questo, unito ad una fotografia spettacolare in un livido bianco e nero, fa volare letteralmente le quattro ore della proiezione.

Ottima le performance del giovane Jan Dieter Schneider/Jonas, e di Marita Breuer/Margret Simon già vista nei panni di Maria Simon in un altro capitolo. Del resto tutto il cast è indovinato, anche perché “Heimat” è un film corale, senza tempo dove ognuno può cercare e trovare qualcosa di sé.

Ivana Faranda

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