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La versione di Barney – Recensione

Tratto dal bestseller di Mordecai Richler, “La versione di Barney” approda sullo schermo con minore mordente e vivacità

Regia: Richard J. Lewis – Cast: Paul Giamatti, Dustin Hoffman, Minnie Driver, Rosamund Pike, Rachelle Lefevre, Scott Speedman, Bruce Greenwood – Genere: Drammatico, colore, 132 minuti – Produzione: Canada, Italia, 2010 – Distribuzione: Medusa – Data di uscita: 14 gennaio 2011.

versione-di-barneyGli alti e bassi di una vita vissuta nella sua totalità, costituita soprattutto dall’irriverenza e dal cinismo. Le donne vengono dipinte come un elemento fondante (seppur con le dovute differenze) della personale crescita intellettuale, che passa attraverso la consapevolezza dell’ineluttabile decadenza. Tutto ciò è il flusso di coscienza, un’improvvisa consapevolezza, di un uomo che tira le somme sulla propria esistenza.

Tratto dall’omonimo e ultimo pluripremiato romanzo di Mordecai Richler, “La versione di Barney” è la storia di Barney Panofsky (il fascinoso Paul Giamatti), un uomo semplice, ordinario, alle prese con una vita straordinaria, che decide di raccontare la sua storia, o meglio “la sua versione dei fatti”.

Il film attraversa quattro decadi e due continenti, racchiudendo diversi personaggi: tre mogli (Rosamund Pike, Minnie Driver, e Rachelle Lefevre), un padre irriverente (Dustin Hoffman), ed un affascinante quanto dissoluto migliore amico (Scott Speedman) della cui morte Panofsky viene accusato nel libro “Il tempo, le febbri” dallo scrittore Terry McIver, un tempo suo amico. La sfacciataggine del protagonista si scontra continuamente con la tenerezza del suo sguardo sulla vita, assiduamente rivolto al bisogno sconfinato d’amore, che sia esso rappresentato dalle proprie mogli, dall’adorazione per il padre o dal conforto dei figli nella solitudine della demenza senile.

Il regista televisivo Richard J. Lewis porta sullo schermo quello che in Italia nel 2001, e in tutto il mondo, fu un vero e proprio caso letterario. Rendere sufficientemente avvincente un racconto che nella pagina scritta è una mordente biografia raccontata in prima persona, costringe il film ad un appiattimento nella resa dei dialoghi. Il ritmo fin troppo lento della pellicola è però rivitalizzato sia dalle numerose ellissi narrative e salti temporali che dall’estrosità istrionica di Paul Giamatti, che amalgama piacevolmente la subdola ambiguità alla malinconia del personaggio che è chiamato ad interpretare.

Il livore agrodolce è nelle mani di commenti assolutamente politically “S-correct”, insolentemente avvallati e da ritenere grotteschi se dati nelle mani di un ebreo. In conclusione il film perde quell’originale soggettività dei fatti e “maleducazione” che hanno reso così affascinante il Barney del libro e il libro stesso.

Sonia Serafini

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