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La prima cosa bella – Recensione

Dolcissima commedia di Paolo Virzì che racconta la storia di una famiglia dai sentimenti forti

Regia: Paolo Virzì – Cast: Valerio Mastandrea, Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli, Claudia Pandolfi, Dario Ballantini – Genere: Commedia, colore, 116 minuti – Produzione: Italia, 2009 – Distribuzione: Medusa Film – Data di uscita: 15 gennaio 2010.

la-prima-cosa-bellaDi fronte a tante pellicole hollywoodiane ricche d’azione, fantascientifiche e tecnologicamente avanzate, il cinema di “casa nostra” propone nelle sale una commedia corale all’italiana non meno coinvolgente, in tutta la sua drammaticità e umanità.

Così, con toni agrodolci, Paolo Virzì ci racconta “La prima cosa bella”: l’amore romantico, sconfinato e disinteressato di una madre verso i suoi due figli, Bruno e Valeria. Un sentimento forte a tal punto da ferire.

La scena si apre nel 2009: Bruno (Valerio Mastandrea), il primogenito, è un professore di letteratura italiana, infelice ed insicuro, costretto a tornare nella sua città natale, Livorno, a causa della madre, Anna Nigiotti (Stefania Sandrelli), malata terminale. Quella madre bellissima, frivola ed incosciente che con le sue azioni e la sua forza eversiva lo aveva tanto sconvolto e dalla quale era fuggito.

Il protagonista, ricongiungendosi alla sorella Valeria (Claudia Pandolfi), ripercorre le tappe di un’infanzia e di un’adolescenza dominata dalla vitalità e dall’ingenuità di Anna che, anche sul punto di morte, non si smentisce con la sua gioia e voglia di vivere, contraria ad ogni diagnosi e prognosi medica.

Intanto, il tormento interiore di Bruno si acuisce nella ricerca comica e disperata, ma fallimentare, di palliativi (sonniferi, tranquillanti, alcol o addirittura morfina) che possano alleviare o colmare un vuoto che si porta dentro fin da bambino.

La storia è tutta da ricostruire: al capezzale della madre il protagonista rivive il doloroso passato tramite flashback, con tristezza mescolata a sottile ironia. Lo spettatore è trascinato nel mondo interiore del protagonista attraverso il volto dell’attore Valerio Mastandrea che calza appieno nel ruolo impegnato e serio, frammisto ad una comicità semplice, spontanea e pertanto piacevole, che sdrammatizza e non stona mai. Colpisce in modo positivo la sua versatilità nell’abbandonare momentaneamente la radicata natura di romano DOC, in cui siamo abituati a sentirlo e a vederlo, per cimentarsi nel più leggero e dolce idioma livornese, convincendo anche più della sua collega, Claudia Pandolfi. Quest’ultima, dopo la performance di svampita professoressa ne “I Liceali”, assume un look più sobrio per interpretare un personaggio, pur sempre insicuro e nevrotico, che tuttavia vive in maniera meno tormentata il rapporto con la madre.

I due protagonisti non sono soli, ma fanno parte di un cast numeroso e di grande qualità che rende il film un gioco di squadra: da Stefania Sandrelli a Marco Messeri (“Ricomincio da tre” di Massimo Troisi), da Sergio Albelli (“Miracolo a Sant’Anna”) a Micaela Ramazzotti.

Mettendo in scena lo struggimento di una famiglia e la sua riconciliazione, Paolo Virzì non tratta più le problematiche sociali rivolte al futuro, presenti nel suo precedente lavoro, “Tutta la vita davanti” (2008), ma guarda ad un passato che lo coinvolge in prima persona. Non a caso, Livorno è la sua città natale e, anche se il regista non si identifica totalmente con il protagonista, la storia nasce senza dubbio da un’invenzione romanzesca mescolata ad elementi autobiografici.

La singolare ambientazione, oltre a rappresentare per Virzì ‘un ritorno in patria’, mostra la città toscana nel suo paesaggio postbellico disastroso e sgradevole, a tratti sporco. Ciò che può lasciare perplessi è l’assenza di una visione politica in una città un tempo sede della fondazione del Partito Comunista e che nel film fa da sfondo a diverse realtà e classi sociali. Un aspetto che forse il regista non crede di dover approfondire, impegnato nel trattare un argomento più intimo e sentimentale. Nel complesso predomina, infatti, l’energia dirompente del materno soggetto femminile e le forti emozioni comunicate dai rapporti interpersonali, che alternano commozione e sorriso e lasciano nel pubblico un sentimento ottimistico, fiducioso e pieno di speranza verso la vita.

Bruno cerca di ritrovare se stesso, le sue radici, e le persone più care e, forse, paradossalmente, deve ringraziare quella madre sciagurata e sprovveduta che, nonostante tutto, è riuscita a trasmettere ai figli qualcosa di buono: il suo grande amore, considerandoli e facendoli sentire sempre la sua ‘prima cosa bella’…La più bella.

Elisa Cuozzo

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