Eco Del Cinema

La moglie del poliziotto – Recensione

Critica spaccata per l’ultimo film di Philip Gröning, apprezzato regista de “Il grande silenzio”, che ha ricevuto il “Premio Speciale della Giuria” a Venezia 70

(Die Frau des Polizisten) Regia: Philip Gröning – Cast: Alexandra Finder, David Zimmerschied, Pia Kleemann, Chiara Kleemann, Horst Rehberg – Genere: Drammatico, colore, 175 minuti – Produzione: Germania, 2013 – Data di uscita: 25 novembre 2013.

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La visione del film di Philip Gröning è impegnativa: quasi tre ore e 59 capitoli di durata variabile, da un paio di minuti ad un massimo di venti, inframezzati da pause con schermo nero e la dicitura “Anfan Kapitel/Ende Kapitel” (inizio capitolo/fine capitolo). Un ritmo alienante, costruito attorno a scelte stilistiche piuttosto drastiche, come l’uso di sola luce naturale e l’assenza di musica, all’interno di una poetica abbastanza premeditata da parte di un regista che ha dichiarato a più riprese di girare un po’ a caso, lasciandosi ispirare giorno per giorno dalla poesia di un particolare, da un’idea estemporanea che viene approfondita.

Un allegro quadretto familiare in un interno di provincia, una storia qualsiasi di una famiglia qualsiasi, declinata secondo il più classico dei canoni letterari e cinematografici della cultura nordeuropea: l’aberrante scheletro nell’armadio, il sottotesto horror e il morboso e raggelante segreto che si nasconde dietro la tranquilla e ordinata quotidianità di una famiglia perfetta. In questo, come in molti altri casi sono tre gli elementi che interagiscono e compongono il dramma: la violenza domestica, il sesso degradato a rapporto morboso e il fattore psichiatrico (d’altronde l’Austria ha dato i natali al padre della psicanalisi e dello studio delle nostre ossessioni, e i primi studi di Gröning non sono di cinema ma di psicologia alla facoltà di medicina).

La domanda è: si possono abbattere gli strumenti del linguaggio cinematografico (sceneggiatura, ellissi, principio narrativo, messa in scena, montaggio) in nome di un superiore principio dell’arte? Si può definire sperimentalismo un’opera che adotta programmaticamente il principio dell’ispirazione poetica come regola assolutizzante, affidandosi in modo un po’ arrogante alla bontà delle proprie capacità intellettuali, senza farsi troppe domande sul contenuto di questa ispirazione, che a questo punto diventa pretestuosamente poetica?

Ci sembra che Gröning scambi il vuoto estetismo per introspezione psicologica, liddove l’estetismo si configura in senso stretto come scelta altrettanto programmatica e de-strutturalista, ossia come scelta di girare in un digitale di bassa qualità, alternando addirittura le diverse qualità. Una proclamazione di estetismo in nome dell’anti-estetismo che ci pare, oltre che snob, sterile (ci sono tanti bei film stilisticamente scabri eppure di grande eleganza formale; per rimanere in ambito veneziano citeremo solo “Stray Dogs” di Tsai Ming Liang o il bellissimo “Thy Womb” di Brillante Mendoza).

In questo senso, anche la violenza sulle donne può essere pericolosamente letta in nome di un rapporto terribilmente intricato e profondo tra i protagonisti, roba che neanche dieci Freud messi insieme riuscirebbero a sbrogliare, e per tal via dunque essere giustificata.

Piera Boccacciaro

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