Eco Del Cinema

La doppia ora – Recensione

Una pellicola a cavallo tra il giallo e il noir con la vincitrice della Coppa Volpi Kseniya Rappoport

Regia: Giuseppe Capotondi – Cast: Kseniya Rappoport, Filippo Timi, Giorgio Colangeli, Fausto Russo Alesi, Giampiero Judica, Gaetano Bruno, Chiara Nicola, Stefano Saccotelli – Genere: Drammatico, colore, 95 minuti – Produzione: Italia, 2009 – Distribuzione: Medusa – Data di uscita: 9 ottobre 2009.

la-doppia-oraQuarto film italiano presentato in concorso alla 66esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che è valso la Coppa Volpi come miglior attrice protagonista a Kseniya Rappoport , “La doppia ora”, dell’esordiente Giuseppe Capotondi (già autore di video musicali e spot pubblicitari), è uno di quei film che vale la pena vedere senza averne, precedentemente, letto la trama.

E questo perché il cinema ha ancora voglia di “confonderci” le idee; quando pensi che la tua scelta sia andata verso un giallo o un noir, ti accorgi, con gran stupore, che i generi stanno tutti lì a sollecitare la tua attenzione. Mescolare e rimestare i generi è un’operazione che i grandi del cinema come Alfred Hitchcock, hanno sicuramente già fatto, ma a Capotondi va il merito di reggere la concatenazione degli eventi su sottili linee parallele, che convergono solo nel finale inaspettato e, come nella migliore delle tradizioni, vagamente ambiguo.

I generi, nella loro specificità (il noir come elemento trainante, con balzi in avanti verso il melodramma, il thriller, giungendo perfino all’horror), coincidono tutti nella tela del racconto principale: la solitudine dei protagonisti. “La doppia ora” rifuggendo dalle banali catalogazioni, è in realtà una storia d’amore pura e semplice: complicata, ingestibile, ma anche trascinante e impietosa. Le identità dei due protagonisti, Sonia e Guido, sono sempre giocate sull’ambivalenza delle scelte che entrambi sono costretti a fare. Il regista, sostenuto da un’ottima sceneggiatura (che si è valsa una menzione al rinomato premio Solinas), non stenta nell’attuare un sottile gioco di ruolo fra il detto e il non detto.

La storia è declinata nei sentimenti della fiducia e del perdono, che sottendono alla capacità di cambiare la direzione della propria esistenza. È come se si venisse rassicurati dal fatto che una possibilità, in fondo, può essere data a chiunque; il saper discernere le proprie azioni e il recuperare è qualcosa che se vogliamo ci viene concesso. Il rinviare o il soprassedere hanno il peso di una libertà elementare, che siamo noi e solo noi a dover gestire. Giuseppe Capotondi ci pone in continuo conflitto di fronte alla scelta su quale sia la parte “giusta” da seguire, se c’è una parte giusta…

Eva Carducci

Articoli correlati

Condividi