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La commare secca (1962)

La commare secca – Recensione: l’esordio alla regia di Bertolucci

La commare secca (1962)

Siamo nel 1961 e Pier Paolo Pasolini, terminato il suo primo film “Accattone”, ha già i pensieri e l’immaginazione rivolti verso “Mamma Roma”. Così, quando i produttori Antonio Cervi e Alfredo Bini gli chiedono di girare “La commare secca”, un soggetto che lo stesso Pasolini aveva scritto qualche anno prima, lui risponde che non lo avrebbe fatto, ma che avrebbero potuto darlo a un altro regista. Consiglia dunque loro di far scrivere la sceneggiatura al suo “Vocabolario Vivente”, Sergio Citti, e al suo aiuto regista in “Accattone”, Bernardo Bertolucci. I due produttori, letto lo script, chiesero proprio a quest’ultimo di firmarne anche la regia.

Lo spaccato sociale di una Roma di borgata

Il film segue l’indagine per l’omicidio di una prostituta, ritrovata sulle rive del Tevere all’altezza della Basilica di San Paolo fuori le mura. I principali sospettati vengono interrogati uno ad uno da una voce costantemente fuori campo, a simboleggiare una giustizia senza volto. Gli interrogatori fanno da movimento conduttore per la narrazione episodica delle giornate dei sospettati, tutte accomunate dal concludersi nel parco Paolino (oggi parco Schuster), dove la prostituta è stata vista per l’ultima volta e poi uccisa.

Bertolucci disegna perfettamente tutti i personaggi, regalando allo spettatore dei personaggi che abitano una Roma di borgata e che provano a vivere di rimedi o lavoretti improvvisati. Chi deruba le coppiette che vogliono appartarsi, chi vive alle spalle di due strozzine o “cravattare”, o chi per far colpo su due ragazze farebbe di tutto per rimediare le duemila lire necessarie per preparare un pranzo speciale. Alla fine il giallo viene risolto, ma quello che più ci restituisce il film è uno spaccato sociale dell’epoca, riportato in pellicola con uno stile ben definito (e ricordiamoci di star assistendo a un’opera prima!).

Dal soggetto di Pasolini l’estro registico del giovane Bertolucci

La commare secca film

Il più giovane esordiente alla regia del cinema italiano prende così il soggetto di Pasolini e lo modella secondo le sue visioni e le sue idee, distaccandosi dalle iconografiche inquadrature frontali pasoliniane e preferendo una camera in costante movimento, giocando in maniera magistrale con il montaggio e con il sonoro. Ad esempio, nella memorabile scena del povero soldato calabrese Teodoro in caccia di ragazze, che finisce accodato a un gruppo di turisti americani al Colosseo, la musica incentiva nello spettatore la comprensione della solitudine e della goffaggine del personaggio. Nella prima parte, infatti, un jump cut a ritmo di percussioni primitive accompagna gli impacciati tentativi del soldato di parlare con alcune ragazze per strada; nella seconda parte, invece, dopo un breve ma pesante momento di silenzio, un flauto malinconico anticipa l’arrivo della sua inevitabile consapevolezza di essere un turista solo in una città che non sembra averlo accolto davvero.

Il fil rouge che unisce tutti gli episodi è un temporale che arriva improvviso, come accade spesso nelle primavere romane. La pioggia inattesa riporta ogni volta nella stanza della prostituta e vediamo scandire in ogni episodio la sua preparazione, da quando si alza a quando esce di casa, poco prima di essere assassinata. Un fil rouge che, grazie a un movimento di camera più morbido e una fotografia più ricercata, sembra creare una contrapposizione visiva con il resto del film, dando l’impressione di leggere una poesia all’interno di un testo in prosa.

Bertolucci firma dunque un’opera prima che non lascerà indifferente nemmeno i critici presenti al Festival di Venezia del ’62, dove il film fu presentato. Una pellicola che, nonostante risulti ancora contaminato da troppe influenze pasoliniane, porta già i segni tipici di un regista che arriverà a dirigere film come “Ultimo tango a Parigi” (1972) e “Novecento” (1976) e a vincere ben 9 Oscar con “L’Ultimo imperatore” (1987).
Sembra proprio che Antonio Cervi e Alfredo Bini ci abbiano visto lungo in quel lontano 1961.

Federico de Sivo

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