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La Collina dei papaveri – Recensione

L’amore tra due ragazzi è lo spunto per mostrare come una nuova generazione lotti per costruire un futuro migliore, senza perdere i legami col passato che li ha resi ciò che sono oggi.

(From Up On Poppy Hill) Regia: Goro Miyazaki – Cast: Masami Nagasawa, Junichi Okada, Keiko Takeshita, Yuriko Ishida, Rumi Hiiragi, Jun Fubuki, Takashi Naito, Shunsuke Kazama, Nao Omori, Teruyuki Kagawa – Genere: Animazione, colore, 91 minuti – Produzione: Giappone, 2011 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: 6 novembre 2012.

lacollinadeipapaveri“Dalla collina dei papaveri” è la trasposizione animata dell’omonimo Manga del 1980, scritto da Tetsurô Sayama e disegnato da Chizuru Takahashi. Opera seconda di Goro Miyazaki, figlio del celebre Hayao, quì sceneggiatore, la pellicola offre allo spettatore un delicato romanzo di formazione, sul passaggio di un gruppo di adolescenti all’età adulta, che tentano non solo di assistere, ma anche di partecipare ai cambiamenti irreversibili del tempo che stanno vivendo.

La storia è ambientata a Yokohama, caotico porto mercantile della vicina Tokyo, nel 1963, alla vigilia delle Olimpiadi che dovevano svolgersi proprio nella capitale giapponese; esse dovevano simboleggiare, come per Roma quattro anni prima, la rinascita di un paese devastato dal secondo conflitto mondiale.

La storia è vista attraverso gli occhi di due studenti, Umi e Shun: la prima, di sedici anni, vive in una casa sulla ‘collina dei papaveri’, che domina il porto, ogni mattina issa due bandiere di segnalazione marittima per il padre, disperso in mare durante la guerra di Corea; il secondo, di un anno più grande, ogni mattina arriva in città sul rimorchiatore paterno per andare a scuola, e vedendo ogni giorno quelle bandiere si chiede quale storia nascondano. I due ragazzi si conoscono in occasione della battaglia civile, intrapresa dagli studenti stessi, per salvare dalla demolizione un’antica casa in legno, sede dei circoli studenteschi delle varie discipline.

L’antico palazzo non è che il simbolo di un mondo che scompare, non riuscendo a tenere il passo col moderno che avanza; la cura e l’amore che i giovani studenti nutrono nei suoi confronti rappresenta la dedizione con cui ciascuno di noi dovrebbe preservare le testimonianze, la cultura, e le tradizioni che provengono dal nostro passato.

Per il Giappone gli inizi degli anni ’60 sono stati gli ultimi ‘anni dell’innocenza’, prima dell’industrializzazione selvaggia e del boom economico; è evidente negli autori la volontà di celebrare con nostalgia lo spirito di un’epoca, che sembra perduto per sempre, nella speranza che lo si possa ritrovare oggi, in un Giappone in cui, per rinascere dopo le ultime catastrofi ambientali, il legame con la propria storia è quanto mai importante.

I temi rimangono comunque di carattere universale, e ciò che rende questo film degno di lode è l’amara considerazione che parecchi dei temi espressi, come il valore delle tradizioni, della storia condivisa, dell’amore e dell’amicizia, dovrebbero sempre accompagnare i popoli durante ogni fase della loro storia, non essere accantonati o rispolverati a piacimento, come tuttora accade anche dalle nostre parti.

Nel film si afferma che “non c’è progresso senza memoria”: non possiamo per mera speculazione distruggere ogni vestigia del nostro passato; esemplare, e attualissimo anche nell’Italia dei nostri giorni, il richiamo ad una vita politica più equa: “Non c’è Democrazia senza rispetto delle minoranze. Democrazia non significa Tirannide della maggioranza.”

Come sempre le produzioni dello Studio Ghibli intrecciano con maestria la chiave di lettura infantile con ciò che può cogliere meglio un pubblico adulto, e fondono mirabilmente poesia e impegno sociale, cura della grafica con introspezione psicologica dei singoli personaggi, senza trascurare la colonna sonora, di diritto tra i protagonisti della pellicola.

Daniele Battistoni

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